Sguardi sonori – Viaggio tra le sette note composte per la settima arte – a cura di Emanuele Rauco
Fresco di trionfo agli ultimi Golden Globe, tra cui miglior commedia e miglior attore di commedia (Jean DuJardin), The Artist è uno dei film più amati e discussi dell’ultimo periodo. Uno dei motivi del suo successo e del suo apprezzamento viene sicuramente dalla forza della sua musica, della colonna sonora di Ludovic Bource – anch’essa premiata col Globe – che, essendo il film di Haznavicious muto, diventa giocoforza voce narrante del film. Collaboratore abituale del regista, Bource infatti non solo crea un tappeto sonoro che accompagna le scene e sostituisce – alle orecchie dello spettatore contemporaneo – la mancanza di suoni e dialoghi, ma trasporta lo stesso spettatore all’interno di quel momento filmicamente così lontano eppure così vicino, proprio grazie al flusso emotivo che la partitura regola e gestisce, proprio come una seconda regia.
Il compositore francese infatti, non trovandosi ovviamente nella situazione degli albori del cinema, quando la musica veniva eseguita dal vivo e raramente composta per l’occasione, è del tutto consapevole nella creazione e quindi ogni scelta sonora ed emotiva è precisa; e in questo Bource gestisce perfettamente ogni brano, alternando la necessità melodica e compositiva di ogni singola scena (George Valentin e Pretty Peppy, che presentano i personaggi, o At the Kinograph Studios) al respiro della partitura come dimostrano l’ouverture e il finale che riunisce i temi suonati durante lo score. Che suona classico, a tratti arcaico, eppure (e non di rado) commovente. Esattamente come il film che, raccontando con occhi moderni la preistoria del cinema, riflette anche su come in 80 anni la musica del cinema hollywoodiano – qui parodiata in Fantaisie D’Amour o 1927 A Russian Affair – ha forse cambiato mezzi e metodi, ma non le finalità e l’impatto sul pubblico. Con l’obiettivo, come sempre, di emozionare.