L’Edinburgh Film Festival tra trasgressioni, provocazioni, dramma e grottesco
(Dal nostro inviato Massimiliano Schiavoni)
25/06/09 – Tra la miriade di percorsi sulla realtà offerti dall`Edinburgh Film Festival, è possibile rintracciarne uno piuttosto forte e trasversale a tutte le sezioni di lungometraggio narrativo della manifestazione: il sesso e altre catastrofi, potremmo dire, parafrasando il titolo di un simpatico film australiano di qualche anno fa. E` uno dei fili rossi unificanti più evidenti, che spazia dalla sezione Rosebud (al momento la più interessante in assoluto) al Director`s Showcase, a Under the Radar (sezione più defilata, ma estremamente vivace, che occupa costantemente le ultime proiezioni pubbliche della giornata, dalle 21 in poi). La nota più ricorrente è il sesso come terreno di sperimentazione, o di dissacrazione, o di disagio familiare. Raramente, anzi mai, il sesso appare coniugato ai sentimenti, e raramente è accompagnato alla gioia. Più spesso troviamo racconti di noia, meccanicità o tormento. E` una nota che prevale in film di ogni parte del mondo, dalla Gran Bretagna agli Stati Uniti, alla Germania.
E` il caso dell`ottimo “Modern Love is Automatic” di Zach Clark (in anteprima internazionale), commedia grottesca dai toni e colori acidi alla John Waters, che è stato positivamente accolto alla sua proiezione pubblica da una platea entusiastica e divertita. Si tratta di una commedia raggelata, in cui la protagonista (notevole l`interpretazione di Melodie Sisk) abbina al suo lavoro d`infermiera un secondo lavoro di dominatrice bondage, un po` per noia, un po` per delusione sentimentale. A differenza dell`evidente modello di Waters, Zach Clark è meno cattivo, meno graffiante. Affronta il sesso sadomaso in modo leggero e scanzonato, giungendo spesso a una risata diretta e spontanea. Nessun compiacimento, nessuna insistenza morbosa. L`autore adotta una narrazione da striscia di fumetto che sublima la tematica forte in una sorta di sit-com provocatoria.
Stessa leggerezza, ma all`interno di una narrazione più realistica, aleggia in “Humpday” di Lynn Shelton, commedia sugli interdetti della curiosità sessuale e sui limiti sfumati degli orientamenti in materia. I due protagonisti, amici dai tempi del college che si ritrovano dopo anni di lontananza, fanno una scommessa su loro stessi: entrambi (fino a quel momento) eterosessuali, saranno in grado di fare sesso per girare un film porno da mandare a un festival di settore? Sicuramente meno riuscito di “Modern Love is Automatic”, “Humpday” soffre di eccessiva verbosità , è fumoso nelle motivazioni e nelle psicologie, ma riesce comunque a rendere credibile, grazie alle sue lunghe e quiete sequenze di dialogo, una storia che per molti versi rischia l`inverosimile. L`autrice ama i propri personaggi, e non si mette fretta. Li segue, li confronta, li lascia parlare diffusamente. E chiude la storia con l`emblematica e fragorosa risata del personaggio interpretato da Joshua Leonard, a eterna conferma della divertita curiosità insita nel sesso. Di tutt`altro tenore, invece, appare “Der Architekt” di Ina Weisse, opera tedesca austera e spietata. Il sesso non ne costituisce il nucleo narrativo principale, ma nel disagio dei suoi personaggi (una famiglia soffocante e attraversata da inquietudini) riverbera una tensione erotica di dominio e sopraffazione. I rapporti familiari sono pervasi dalla frustrazione, dalla possessione dell`altro, dal falso equivoco dei sentimenti. Nessuno è innocente, ma alla fine il cerchio si stringe intorno a chi non ha saputo (o voluto) piegarsi alle regole del dominio. E, eliminato l`elemento perturbante, la famiglia si richiude su se stessa. Opera dura e pessimista nei confronti dell`essere umano come solo certi film tedeschi sanno essere, “Der Architekt” è sorretto, peraltro, da una prova corale eccellente di tutto il cast, sul quale svetta Josef Bierbichler, tra i protagonisti anche in “Das weisse Band” di Michael Haneke, trionfatore all`ultimo Festival di Cannes.
E` passato anche, in anteprima europea nel Director`s Showcase, l`ultimo Steven Soderbergh, “The Girlfriend Experience”, racconto di sesso mercenario extralusso ai giorni nostri tramite il personaggio di una escort per clienti facoltosi che vede incrinarsi il suo modello di vita a causa della recente crisi economica mondiale. L`idea è interessante, ma purtroppo il film appartiene al Soderbergh più antipatico, quello presuntuoso, fumoso e intellettualistico di “Full Frontal”. Da evitare accuratamente. A domani.