Flussi seriali – Percorsi e influenze odierne e vintage delle serie americane a cura di Erminio Fischetti
Grace Hanadarko è una detective della polizia di Oklahoma City. Autodistruttiva, tendente all’alcolismo, ad una vita sessuale priva di controllo, la donna ha alle spalle il dolore per la perdita dell’amata sorella assassinata anni prima. E il figlio di quest’ultima, Clay, è una delle poche note felici della vita della donna, oltre alla migliore amica e collega Rhetta. Un giorno piomba nella vita di Grace, Earl, un angelo mandato dal Signore per darle un’ultima possibilità di costruirsi una vita migliore.
Realizzata per essere trainata da The Closer nel palinsesto di TNT, Saving Grace (attualmente trasmessa da Italia 1 in orario notturno) è una serie tv creata da Nancy Miller, che vede nella caratterizzazione della sua protagonista l’esatto contraltare di quella della crime series The Closer, Brenda Leigh Johnson. Grace Hanadarko è infatti beona, volgare e non certo educata e perfettina come la collega, ma alla fine ottiene i suoi stessi risultati: il cattivo va sempre in gattabuia.
Dovrebbe quindi esserci più simpatica della Brenda Leigh di The Closer perché più umana, ma andando in fondo alla questione forse Grace ci è persino più antipatica di quest’ultima. Perché in Saving Grace vengono a crearsi in fondo gli stessi problemi della serie con la quale si confronta con l’aggravante che vuole ostentare il contrario: manca anche qui il chiaroscuro narrativo fra cosiddetti buoni e cattivi malgrado le apparenze. Questo nonostante, o forse soprattutto, per la presenza di una matrice estremamente religiosa, dove nella struttura seriale dall’andatura insieme chiusa e aperta – rispettivamente i casi di omicidio e le vite dei suoi protagonisti – predomina uno sfondo poliziesco, che a tratti risulta molto poco curato nella struttura dei copioni dei casi, spesso scialbi, banali e privi di inventiva. Di conseguenza ne viene fuori un prodotto non solo monotono, ma in alcune situazioni estremamente irritante e bigotto. Paradossalmente non rintracciabile nella figura dell’angelo, quanto nel ritratto di un’America facilmente incline e favorevole alla pena di morte, al rispetto per la figura della polizia, che risulta sempre impeccabile. Tutti punti di vista che la serie non condanna, ma avalla o al massimo tratta con un’ambiguità democristiana. La pena di morte è giusta e tutti i poliziotti sono buoni sembra volerci dire Nancy Miller! Grace pare debba fare i conti con la propria coscienza e nonostante i difetti è una donna estremamente ligia al suo dovere e all’amore per la sua famiglia (di fede rigidamente cattolica); oltre alla sorella morta ha altri quattro fratelli, di cui uno prete, e un’altra sorella (molto bacchettona). E anche qui in fondo non si comprende appieno dove si trovino i connotati della perdizione della donna: nello sbevazzare? nella relazione con un collega sposato con il matrimonio in crisi? nel dire parolacce all’angelo? suvvia, chi si salverebbe allora dalle fiamme dell’inferno?
Forse all’interno della serie tali connotati sarebbero da ritrovare più nella rigidità verso la pena di morte, nel moralismo integerrimo e irritante della perfettissima amica Rhetta, nell’implacabilità della società americana al rifiuto di un perdono laico, nell’ossessione di fare giustizia a tutti i costi. Per dirla religiosamente, Saving Grace pratica l’occhio per occhio, dente per dente e quasi mai pone l’altra guancia. Meno male che l’angelo Earl non si prende troppo sul serio e affronta le cose con umorismo nel suo rapporto con la protagonista. E stavolta non basta nemmeno la buona prova del premio Oscar Holly Hunter per rendere gradevole l’operazione. E si comprende perché il miglior debutto di ascolti (con quasi sei milioni e mezzo di spettatori) nel 2007 di una serie di un canale via cavo si sia trasformato in un flop cancellato alla terza stagione.