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E due. Dopo Falene – a quanto pare una buona prima uscita – Distribuzione Indipendente seguita la sua coraggiosa avventura con un altro lungometraggio di finzione. saGrascia è l’esordio di Bonifacio Angius, giovane – e molto promettente – sardo che il suo film se lo è costruito praticamente da solo, potendo contare esclusivamente sulla solidarietà tecnica artistica e materiale di qualche professionista amico (una menzione speciale merita Carlo Doneddu, autore delle musiche) e sulla libertà di usare il tempo a proprio piacimento. Un sogno dentro un sogno dentro un altro sogno (Inception, ovviamente, non potrebbe essere più lontano): in un tempo e in un luogo non meglio precisati, un bambino intraprende il suo pellegrinaggio a piedi verso la chiesa di Sant’Antonio dove è diretto per ringraziare di aver avuto salva la vita dopo una brutta caduta; insieme a lui il taciturno cugino fa da testimone intermittente, apparentemente entrando e uscendo dal racconto nell’alternanza di sonno e veglia misteriosamente innestati nel fluire degli eventi.
saGrascia – la grazia – procede come in uno slalom, evitando di consentire apparentamenti d’ufficio, facili definizioni, giocando a spiazzare e rilanciare senza tregua le aspettative dello spettatore, accumulando, con la spregiudicatezza tipica dell’indipendenza, volti e gesti, parole e immagini. C’è un inizio e una fine ma oltre a questo è difficile stabilire con certezza un prima e un dopo, distinguere sogno, pensiero, azione concreta, separare di netto l’allucinazione dalla realtà. In un racconto in cui forse la realtà è tutta allucinazione, e il fatto, subito parte di una microscopica epopea fiabesca. Angius muove con leggerezza il suo obiettivo invitando l’occhio a proseguire per salti dolci e continui, a concentrarsi sulle parti, dimenticando la tensione a ricomporre i pezzi in un tutto definitivo. Forte nella costruzione visiva, il film è paradossalmente più incerto nella modulazione del racconto, cosa che forse i tre anni complessivi impiegati per produrlo avrebbero dovuto evitare. Non presuntuoso ma pretestuoso per scelta, saGrascia mostra i segni di un occhio maturo e contiene – seppure dispersi in una narrazione che oltre la sua irridente anarchia, soffre di una eccessiva indisciplina – gli elementi di un immaginario ricco. Un esordio ludico e appassionato come non se ne vedevano da tempo; un piccolo film inevitabilmente legato al grande schermo; un mito arcaico tutto inventato che gioca con ironia sulla crisi delle grandi narrazioni.
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Rubrica: Belli e indipendenti