“È una storia di molte persone, la storia di persone normali che decidono di cambiare una situazione che non riescono più ad accettare. Open arms – la legge del mare pretende di fare un discorso sulla protezione della vita, un film che si è convertito in un’azione per proteggere la vita nel mare, indipendente dalla situazione amministrativa in terra. Non ha nulla a che fare con un discorso politico” precisa alla Festa del cinema di Roma, in conferenza stampa, Oscar Camps, fondatore di Open arms, l’organizzazione umanitaria che dal 2015 ha salvato oltre sessantamila persone nel Mar Mediterraneo, sempre più fossa comune per tutti coloro che scappano da guerre o da una situazione politica, sociale, economica e ambientale non più sostenibile. Persone che affrontano viaggi pericolosissimi in mari di sabbia, e poi – una volta davanti alle coste del Mar Mediterraneo – si trovano davanti ad un nuovo ostacolo che troppo spesso – purtroppo – diventa insormontabile.
Open arms – la legge del mare di Marcel Barrena, presentato in anteprima italiana alla Festa del cinema di Roma e ci auguriamo prestissimo nelle sale di tutta Italia, racconta proprio com’è nata l’organizzazione. Oscar Camps (interpretato daEduard Fernandez), bagnino con una sua azienda ben avviata sulle coste spagnole e in special modo sulle spiagge per turisti di Barcellona, vede la foto che sconvolse il mondo: il piccolo Aylan Kurdi, morto annegato e riverso sulla spiaggia.
Non può restare a casa, non può far finta di nulla e allora decise di agire, decise che il suo saper salvare vite doveva essere messo al servizio non solo dei vacanzieri ma di chi cercava di arrivare in Europa e così, senza pensarci troppo chiese agli altri membri del suo gruppo di seguirlo e con Gerard raggiungono la piccola isola di Lesbo che dista davvero poche ore dalla costa turca. “In una giornata di tramontana puoi vedere le persone che salgono e scendono dall’autobus” dice Oscar quando la figlia lo raggiunge. La guardia costiera greca non gli da il benvenuto, anzi sottolinea che nessuno li ha invitati (come nessuno – precisa il comandante – ha invitato i migranti) ma Oscar vuole supplire ad un’evidente mancanza di aiuto.
Durante l’incontro viene sottolineato più volte che non si tratta di un film che vuole portare a discorsi politici – anche se il dibattito si è acceso dopo la proiezione alla Festa del cinema di Roma e in Spagna – ma l’intento è solo quello di mostrare la realtà perché: “Ci sono enormi differenze tra trovarsi in mare e proteggere una vita e leggere un articolo su quello stesso evento seduti a terra. Abbiamo usato il cinema come mezzo di comunicazione per raggiungere il numero massimo di persone, per mostrare semplicemente quello che accadeva in mare 6 anni fa e che continua a succedere oggi. Sì, accade oggi, nonostante tutti i discorsi politici che hanno distorto la realtà e il diritto del mare”, precisa Camps che proprio dal linguaggio visivo, da una foto, era stato mosso.
A Roma Camps sottolinea che nessuno mette in dubbio che ci sia un problema legato all’immigrazione ma il problema non è di chi emigra ma di noi che emarginiamo un intero settore: “Con Open arms vogliamo solo salvare vite in mare e se questo è un problema per i politici devono risolverlo ma la soluzione non è lasciarli morire in mare”.
Durante la nostra intervista facciamo riferimento a due inquadrature del film che non ha solo un valore di denuncia ma anche un’ottima resa filmica con scelte di regia mai scontato e che mirino solo al cuore e all’emotività del pubblico ma che, intelligentemente, lo spingono a ragionare, a vedere i migranti come esseri umani da salvare, per opera di altri esseri umani non santificati ma uomini e donne con pregi e difetti come tutti. Sono entrambe inquadrature dall’alto in campo lungo molto forti che mostrano due “mari”: uno di salvagenti e uno di baracche perché, anche se arrivati in Europa, i migranti non sono ancora “a casa” o in un luogo che possono considerare casa perché, come rappresentano bene quelle due immagini, c’è per loro ancora morte e profonda disperazione . E quando domandiamo a Camps dell’elefante è perché per raccontare la posizione miope dell’Europa, il fotografo seduto a tavola, usa la storia la favola dei tre ciechi che si avvicinano a un elefante; toccando tutti solo una parte dell’enorme animale, tutti pensano sia qualcosa di diverso dal pachiderma che nessuno tocca (e sente) per intero.
giovanna barreca