Un delicato racconto di riformazione nel nuovo film di Sam Garbarski
(Dal nostro inviato Emanuele Rauco)
29/10/10 – Dopo il successo internazionale di Irina Palm, secondo film del regista, Sam Garbarski presenta al 5° Festival internazionale del film di Roma (nella sezione Alice nella città) il suo nuovo film, un racconto adolescenziale di ri-formazione tratto dall’omonimo e famoso romanzo grafico di Jiro Tanuiguchi che riesce a rendere con tatto lo spirito dell’opera originale. Un disegnatore e fumettista torna al paese natale che non vedeva da anni: al cimitero, cade come in una specie di trance e si risveglia di nuovo ragazzo, pochi giorni prima che il padre scappi di casa rovinando la vita della madre. Il film, scritto dal regista con Philippe Blasband e Jérome Tonnerre, è un viaggio contro il destino e dentro i ricordi che rammenta alcune graziose opere al confine tra il fantasy adolescenziale e il racconto intimo, cercando di arrivare al cuore dell’ispirazione di ogni artista. Il film infatti, nel solco dei film sulle seconde possibilità e del riavvolgimento del passato da cambiare, mette in scena non solo le difficoltà e i piccoli grandi ostacoli della crescita di ogni adolescente – l’amore, il rapporto coi genitori, gli amici – ma riflette anche su come gli immutabili drammi di ognuno portino a essere ciò che si è, volenti o nolenti, a tessere la base da cui trarre ispirazione, anche inconsapevolmente. Garbarski conduce il racconto – trasferito dal Giappone alla Francia – con dolcezza e sincerità, soffermandosi più sui tentennamenti del protagonista, giocando ironicamente sulla sua consapevolezza, guardando a Taniguchi con rispetto.
La sceneggiatura gioca sul filo delle piccole cose, quasi del diario, e trova un bel tono che la regia asseconda – senza le caste provocazioni del suo film precedente – col sorriso, ma anche con qualche accenno di confusione stilistica (specie nel montaggio). Che la buona prova del cast ammorbidisce, trovando nel volto scavato di Pascal Greggory, nella luminosa giovinezza di Léo Legrand, nel sorriso attonito di Alexandra Maria Lara e nel dolore muto di Jonathan Zaccai, un credibile ritratto familiare.