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Se a quasi quarant’anni di distanza la figura di Franco Basaglia resta icona di rivoluzionario democratico e di riformatore visionario forse è perché la legge che porta il suo nome – e che ha segnato un prima e un dopo nella storia della gestione del “disagio mentale” nell’Occidente moderno – resta ancora, in larga parte, lettera morta. A confermarlo c’è l’incredibile vicenda di Casamatta, una residenza socio-assistenziale di Quartu Sant’Elena – popoloso comune a sud di Cagliari – nella quale convivono otto persone con disagio mentale. Roba da matti inizia proprio qui, dal rischio improvviso che Casamatta cessi di esistere: da una parte lo sfratto deciso dal padrone di casa che non è più intenzionato a rinnovare il contratto d’affitto, dall’altra una denuncia ai NAS di un medico “pre-basagliano”, che accusa gli operatori di maltrattamenti e gravi inadempienze legali e sanitarie. A decidere delle sorti di Casamatta i famigliari dei residenti, sempre fisicamente vicini, e Gisella Trincas, responsabile della residenza nonché sorella di uno degli otto ospiti.
Enrico Pitzianti – che del cinema documentario militante ha fatto il suo personale modus operandi – entra in Casamatta e ci resta – con intervalli e qualche sosta – tre mesi pieni. Poi si siede davanti al pc con Marco Antonio Pani – il montatore – e dalle molte ore di girato tira fuori un lungometraggio di ottanta minuti, “costruito come se fosse un racconto classico di finzione”. Roba da matti non è un “bel film”, non sfoggia prodezze tecniche, virtuosismi estetici, ma neppure grandi idee di regia, punti di vista inusitati, solide articolazioni del discorso: usa invece retoriche ingenue, a volte grossolane, trucchi e trovate, inizia registri narrativi per poi abbandonarli senza motivo apparente (ad esempio, la voice over di Gisella Trincas che sembra aprire una parte diaristica del film e invece subito scompare). Roba da matti però è un film giusto, un film utile, militante al punto da intervenire sulla realtà e influenzarla, modificarla, ripianificarla.
Durante la proiezione si ride e ci si commuove, non sempre per buone ragioni: Pitzianti indulge al sentimento (forse non al sentimentalismo) non evita la sottolineatura emotiva, il grazioso, il comico elementare, ma gira e racconta in modo onesto, guarda con umanità tanto da meritare in cambio gesti e sguardi intensi da parte dei suoi personaggi. Soprattutto il regista dimostra una sensibilità non grossolana e la mette al servizio di una giusta causa. Prendendosi tutti i rischi che vengono dall’affrontare a viso aperto e senza incertezze zone lasciate in ombra dall’ipocrita società di questo tempo.