Dalla nostra inviata Giovanna Barreca
Ascolta la conferenza stampa al Festival di Cannes del film:
Gus Van Sant torna sul tema dell’adolescenza difficile e tormentata con un film ricco di atmosfere diverse: cupe, spesso sospese, ovattate e anche lievi regalando emozioni percepibili per tutti i 91 minuti della pellicola. Non c’è modo di distogliere l’attenzione da Enouch e dalla serie di vicende che segneranno il suo passaggio all’età adulta. Qualcuno ricorda Harold e Maude di Hal Ashby? Quando il sedicenne Enouch arriva alla cerimonia funebre di uno sconosciuto in giacca e cravatta e incrocia lo sguardo di Annabel che porta un cappello più grande di diverse taglie, abbiamo pensato che come fece tempo fa con Psycho di Alfred Hitchcock volesse omaggiare un film della storia del cinema per attualizzarlo e nello stesso tempo aggiungere un tassello al suo discorso filmico sugli adolescenti e il loro rapporto con la morte. Enoch, nel disegnare sul terreno la sagoma del suo corpo come in ogni buona scena del crimine ricorda quell’introverso Harold che davanti alla madre inscenava suicidi e che viveva la morte come elemento sia fisico che interiore. Nell’autore di Last Days e Milk che proprio a Cannes portò Elephant nel 2003 e vinse la Palma d’oro, rimane la dimensione del gioco che contempla anche un’aggressività naturale nei bambini come nel film del 1961 già citato e anche ne Il signore delle mosche di Peter Brook, omaggiato con una scena durante la notte di Halloween alla quale Enouch e Annabel, finalmente innamorati, partecipano.
Però qui il discorso ha svolte e riflessioni di una diversa intensità perché la vicenda dei due adolescenti regala al regista la possibilità non solo di tornare su temi cari quali la relazione interpersonale e quindi declinare il tema della morte all’interno della relazione di Enouch – che ha perso i suoi genitori in un incidente d’auto e si innamora di Annabel, malata terminale di cancro – ma anche la responsabilità del singolo in un contesto sociale: c’è la morte del pilota giapponese che appare come fantasma a Enouch e che ha vissuto e perso la vita nel dramma della bomba atomica di Nagasaki (incombono come macigni alcuni fotogrammi di quella tragedia). Queste due dimensioni permettono di portare avanti un discorso nel quale possono essere coltivati e vissuti anche in maniera molto impetuosa per il cuore e per la mente diversi sentimenti rimanendo sempre in quella sorta di limbo tra realtà e fantasia come dimostrano tutte le scene girate nel bosco e nella casa abbandonata. La sceneggiatura e i dialoghi non hanno mai cadute e c’è una coerenza fra montaggio, regia e attori assoluta quanto impegnativa per lo spettatore che si troverà a provare a distanza di pochi minuti stati d’animo diversi come solo i ragazzi sono capaci di vivere con tale intensità. Facendo nostra una citazione di Francois Truffaut, la morte accentua le ‘fragilità invincibili’ di due giovani consapevoli che presto arriverà l’ora di dirsi addio; nel loro inscenarla c’è una poesia e una lievità che raramente abbiamo visto così ben rappresentata. Come è palese dalla nostra cronaca il film è sicuramente quello che più ci ha emozionato e coinvolto dall’inizio del festival e domani attendiamo la conferenza stampa con Gus Van Sant che non si è potuta svolgere oggi. Ultima notazione: dell’Alice nel paese della meraviglie di Tim Burton, Gus Van Sant non utilizza solo la lieve e delicata Mia Wasikowska ma anche il creatore delle musiche Danny Elfmann che ha davvero creato per ogni situazione l’atmosfera giusta: una vera e propria architettura di suoni molto sofisticata.
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