Curioso esperimento di cinema a bassissimo costo, Red Krokodil conferma che dalle parti del cinema “underground” in Italia qualcosa si muove e che, forse, anzi solamente lì si può ancora cercare uno sguardo audace ed estremo, sia pur a tratti artigianale e, se vogliamo, raffazzonato. Domiziano Cristopharo è uno degli esponenti più interessanti di questo tipo di cinema rarissimamente distribuito e che fatica persino ad essere ospitato nei festival più indie della penisola. E con Red Krokodil – che uscirà per Distribuzione Indipendente il prossimo 23 gennaio – forse Cristopharo ha realizzato il suo miglior film. Non un horror, come spesso gli era capitato in passato, quanto una sorta di horror vacui, di ritratto desolante e desolato di un uomo giunto all’ultimo stadio dell’esistere.
Il krokodil, la droga che uccide
Prendendo spunto dal fenomeno del krokodil, una droga che provoca danni letali al corpo tra cui quello di rendere la pelle squamosa come per l’appunto quella di un coccodrillo, Cristopharo costruisce un poema dell’abbandono e dell’auto-distruzione senza rinunciare a mettere in scena tutta una serie di efferati auto-flagellamenti, dallo scorticamento del naso all’orribile processo di dissoluzione della pelle. E in questo ha un ruolo essenziale il protagonista, il modello Brock Madson che, pur evidentemente a tratti a disagio in vesti d’attore, dona la faccia e la corporeità giuste alla vicenda ripercorrendo tra l’altro il suo dramma privato, visto che per cinque anni è stato tossicodipendente.
Pregi e difetti
La credibilità del film perciò si regge proprio sulle atletiche spalle di Madson e sui consigli che ha dato a Cristopharo in fase di realizzazione, consentendo una lettura credibile di quel che vediamo accadere davanti ai nostri occhi. Non siamo, ovviamente, dalle parti del realismo, quanto in quelle di una atmosfera surreale e narrativamente lasca in cui però il tono giusto deriva dai comportamenti del protagonista del film: l’attenta preparazione del krokodil, la doccia fatta per recuperare liquidi, ecc. Ma quel che forse appare più riuscito è la dinamica della visione, dell’incubo, che passa da visioni cristologiche a dis-avventure paniche (Madson, al culmine della perdizione, esperisce una sorta di passione divina, poi si immagina correre nudo per i boschi oppure in un deserto, ecc.). Questi momenti liberano dall’opprimente claustrofobia del misero interno in cui è relegato il protagonista e, forse, persino, appaiono girati meglio, con maggior cura. Red Krokodil infatti è stato realizzato in soli dieci giorni di riprese e, purtroppo, a tratti si vede, soprattutto nella ripetizione dei punti di vista della camera che, racchiusa tra una stanza e un bagno, alla lunga sembra perdere un po’ d’inventiva.
Geografia linguistica
E se la discrasia tra il visivo e il sonoro appare riuscitissima – il protagonista è sostanzialmente muto e riflette su se stesso in voice over – meno convincente appare la scelta di girare in lingua inglese. Con un’ambientazione russa – scelta perché il krokodil si è diffuso soprattutto lì, ma visto che non vi è nessuna ambizione realistica si sarebbe potuto anche decidere di ambientare il film altrove – l’inglese decisamente stona e dà l’idea di una decisione presa solamente per puntare al mercato globale, come del resto conferma lo stesso Cristopharo. Ma un film, per quanto tendenzialmente astratto, che mischia in maniera decisamente arbitraria luoghi e culture crea per forza un elemento di distanziamento, una perdita della credulità dello spettatore che finisce per inficiare la riuscita complessiva dell’operazione.
Alessandro Aniballi per Movieplayer.it Leggi