Non è certo quella satira etno-politica d’autore che caratterizza il cinema di Larry Charles, né l’irriverenza sboccata dei fratelli Farrelly, né, ancora la goliardia generazionale del franchise American Pie. Qual è, allora, il trucco che ha permesso a Una notte da leoni di affermarsi – con i suoi primi due capitoli – una delle serie comiche più apprezzate e di maggior successo degli ultimi tempi? Presto detto: un’intuizione semplice ma efficace, quella di riaggiornare il filone più commerciale del genere con una massiccia dose di cattiveria e cinismo, inusuale nell’ambito mainstream. Una formula esile, quasi usa e getta, sottratta all’immediato logorio solo grazie allo scaltro espediente di impostare la seconda pellicola non come un vero e proprio sequel, quanto piuttosto sulla foggia di un remake-calco della precedente.
Ma i nodi, si sa, prima o poi vengono al pettine, e a rivelare i limiti di quello che – a posteriori – può esser visto come un bluff ben congegnato tocca paradossalmente a Una notte da leoni 3, capitolo conclusivo della trilogia e deputato, per la sua collocazione, a tirare le somme sull’intera operazione. Perché, per dirla senza mezzi termini – il film è una vera delusione, tanto nell’ottica del “marchio” di cui porta il nome, quanto in quella del prodotto a sé. Fedele al consueto meccanismo del buddy-movie (il film al maschile) Todd Phillips, regista e co-sceneggiatore riunisce l’ormai famigerato wolfpack – letteralmente branco di lupi – formato dai quattro amici quarantenni della media borghesia statunitense: l’intraprendente Phil (Bradley Cooper), il placido dentista Stu (Ed Helms), l’infantile e squilibrato Alan (Zach Galifianakis), e il marginale Doug (Justin Bartha). Non più alle prese con i devastanti postumi di una notte di bagordi post-matrimoniali, il gruppo si ricompone dopo l’ultima bravata di Alan, in seguito alla quale decidono – per preservare il già labile equilibrio mentale dell’uomo – di accompagnarlo verso una clinica psichiatrica. Ma il viaggio si rivelerà irto di imprevisti, finendo col catapultare i quattro all’interno di un intrigo criminale che porterà sulla loro strada una vecchia conoscenza, lo spietato, sessuomane e incontenibile gangster cinese Mr. Chow (Ken Jeong).
Fiacco e ripetitivo nel riproporre dinamiche e situazioni ormai usurate, Una notte da leoni 3 non solo non aggiunge nulla alla serie, ma sconta il peso – o meglio, l’assenza di peso – di un racconto lacunoso e debole, la cui mancanza di idee è blandamente colmata da un ripiego fin troppo autoreferenziale sui precedenti episodi e dissimulata sotto una regia che cerca di spostare continuamente il focus giocando con gli stilemi dell’action thriller, del caper e del cinema on the road (quest’ultimo finalizzato al sottotesto definitivo: il percorso di Alan verso la maturità), senza però voler sfruttare appieno nessuno di essi. Certo, le occasioni per un paio di risate ci sono, ma siamo lontani per qualità, quantità e ritmo, dalle gag memorabili che hanno sancito la fortuna dei predecessori, qui rimpiazzate da scenette nelle quali il sovraccarico di scorrettezza, volgarità e violenza appare solo pretestuoso, mentre non bastano la buona fattura della confezione (dalla raffinata fotografia di Lawrence Sher, all’uso delle ambientazioni) e il rodato affiatamento degli interpreti – ottimo, come sempre Helms nel concedersi con generosità alle derive più estreme del suo personaggio, ai limiti dell’irritante Galifianakis in una macchietta sempre più idiota – a far ingranare come necessario il motore dell’intrattenimento. E insomma, laddove sarebbe stato lecito aspettarsi lo spettacolo pirotecnico degno di un gran finale, ciò che viene offerto sono solo un paio di fragorosi petardi. Degna di nota, tuttavia, l’esilarante sequenza bonus che segue i titoli di coda.
CATERINA GANGEMI