Grande eleganza formale, un’estetica che riesce a mantenersi sospesa tra orientale e occidentale, anche grazie all’espressività di una splendida Mia Wasikowska, enigmatica, eterea e allo stesso tempo venata di oscure pulsioni. Sulla carta e anche sullo schermo, Stoker di Park Chan-wook parte da ottime premesse: in apparenza, la storia è quella di una ragazza solitaria e introversa, dal nome India, che rimane improvvisamente orfana del padre e si trova a dover rielaborare insieme il lutto, il complicato rapporto con la madre e il raggiungimento dell’età adulta, accompagnata in questo viaggio interiormente violento dalla comparsa di un misterioso zio di cui non conosceva l’esistenza. In sostanza, questo strano parente si rivela presto quale elemento massimamente perturbante, sia per le dinamiche di tipo amletico che si instaurano all’interno della famiglia, sia per la tetra influenza su India. Il suo ruolo è quello di incamminare la nipote in un percorso di iniziazione perverso, dove la scoperta della sessualità risulta legata a doppio filo alla scoperta di un istinto cacciatore, sanguinoso, violento, freddo e spietato come quello di un predatore selvatico. Un tema dunque insolito e intrigante, che la regia riesce ad ammantare di fascino con una cura estrema di ogni dettaglio visivo e della costruzione di tutte le inquadrature, dove la disposizione di ogni singolo corpo o soggetto sembra rimandare alla malcelata pulsione verso l’abominevole e verso un’istintiva scelleratezza.
L’unico problema è il mancato salto di senso che Park Chan-wook non sembra riuscire a compiere, lasciando che le pur apprezzabili scelte estetiche rimangano il più delle volte quadri a sé stanti, non legati all’interno di un punto di vista organico. Più sistematico invece l’uso del montaggio alternato, adatto ma sempre un po’ enfatico, soprattutto in una delle sequenze clou al centro del film. Quello che invece non regge bene l’evoluzione del film è di sicuro la sceneggiatura, in cui si tiene fin troppo sospesa la parte iniziale e in cui si perde completamente lo sprint proprio nell’epilogo, tutto un susseguirsi di spiegazioni e flashback che tolgono efficacia allo stile invece più metaforico e visionario di Park Chan-wook. Nel complesso, però, Stoker appare comunque un’opera interessante, ben diretta e molto ben interpretata, cui si può giusto imputare di non sfruttare tutto il proprio potenziale e di affidarsi soprattutto a poche sequenze molto forti, diluite in un racconto che non riesce a mantenere dall’inizio alla fine la sua forza espressiva.
LAURA CROCE