La tragedia di Hiroshima vive nella memoria dei sopravvissuti e, con il passare del tempo, rischia di essere dimenticata. Spesso, a migliaia di chilometri di distanza, la bomba atomica del 1945 rimane un capitolo da studiare su un libro di storia, e gli effetti della catastrofe si perdono negli anni. Natsu No Hikari (Lumières d’été/ Summer Lights) è un film sulla memoria, su come la si costruisce e come si evolve. A Hiroshima il ricordo è ancora vivo, mentre in Europa, come ci dice il protagonista, non interessa quasi a nessuno. Le televisioni richiedono un breve documentario solo per le occasioni speciali, per le commemorazioni, e poi lo trasmettono in seconda serata. Allora come si alimenta la consapevolezza? Come può quel 6 agosto diventare una data che non si ricorda solo per dovere di informazione? Il regista Jean-Gabriel Périot non ha dubbi: bisogna tornare sul luogo del disastro, parlare con chi si è salvato e scoprire il pensiero delle nuove generazioni. L’Eiji Okada di Hiroshima mon amour ripeteva la stessa battuta per dieci minuti, mentre era a letto con Emmanuelle Riva: “Tu non sai niente”. Lei aveva visto gli effetti dell’esplosione, ma quel giorno non c’era. Noi non sappiamo niente.
Akihiro è un giapponese che per vent’anni ha vissuto a Parigi. Voleva scappare, respirare un’aria nuova, così si è iscritto a una scuola di cinema in Francia. Ora lavora per un’emittente francese ed è tornato a Hiroshima per girare un documentario. I primi venti minuti sono i più intensi del film. Akihiro intervista in studio la signora Takeda, che in un quieto racconto ritorna a quella torrida estate del ’45, quando aveva quattordici anni e in molti pensavano che la guerra fosse agli sgoccioli. All’improvviso ha sentito un boato e si è riparata dietro a un muro, che le ha salvato la vita. La mamma non è mai tornata a casa, la sorella è morta pochi giorni dopo. Le parole della signora Takeda non sono coperte da immagini evocative, basta la forza del suo racconto per far rabbrividire.
Dopo la registrazione, Akihiro incontra Michiko, una ragazza enigmatica e dal fascino un po’ naif. Indossa uno yukata, un vestito tradizionale giapponese, e sembra legata agli antichi valori di un Paese che ormai si è aperto al mondo. Michiko fa scoprire la città ad Akihiro e poi la storia subisce una sterzata: improvvisamente i due prendono un treno e si rifugiano in un paesino di pescatori. Non si tratta di una fuga d’amore, ma di una ricerca di loro stessi che affonda le radici nella devastazione della bomba atomica.
A un occhio poco attento, questa seconda parte può sembrare slegata dalla prima. Invece è proprio nel viaggio che Natsu No Hikari (Lumières d’été/ Summer Lights) svela la sua vera anima, spiegando come il passato possa materializzarsi nelle nostre esistenze. Chi è nato in tempo di pace non può comprendere gli orrori della guerra e Alain Resnais aveva ragione nel sostenere la nostra ignoranza. L’unica via è non cancellare la storia, per non far rinascere le vittime di ieri nell’indifferenza di questo secolo.
Gian Luca Pisacane per cinematografo.it