Tre anni dopo Venere in pelliccia (2014), Roman Polanski torna a Cannes (fuori concorso) con D’après une histoire vraie, tratto dal romanzo di Delphine de Vigan adattato per lui dal collega Olivier Assayas. Riducendo ai minimi termini, questo dramma senza dramma dalle venature thriller esplora la relazione morbosa, di più, tossica (eheheh…) tra due donne, la scrittrice di successo Delphine (Emmanuelle Seigner) e la scrittrice per conto terzi (un altro negro dopo L’uomo nell’ombra, che in originale si chiama proprio The Ghost Writer, 2010) Elle, nel senso di Lei (Eva Green).
Ecco, dovessimo avvicinarlo, ancor più nella (non) riuscita che nelle assonanze e simmetrie, a qualche precedente di Polanski, questo “Tratto da una storia vera” è proprio quell’Uomo nell’ombra, anche indovinato e financo ardito in alcune trovate, ma accartocciato, annoiato, mai sorprendente. Un tot inutile, ozioso e lezioso.
Un film su due scrittrici che tra le righe si lascia leggere poco assai, un film sul doppio di primo acchito volontariamente smaccato e prevedibile, che non riuscendo a innescare la riflessione metacinematografica smaccato e prevedibile rimane anche in ultima analisi, cosa che non succedeva nel precedente, da lui scritto e diretto, di Olivier Assayas Personal Shopper, cui è limitrofo per temi e pensieri fissi.
Un “di due una” che beneficia di brave attrici – la Segnier è meglio della Green- ma in fondo non sa nemmeno che farsene, lasciando intravedere qui e là anche un po’ di sciatteria. Certo, il mestiere di Polanski ha ancora da dire, ma noi vorremmo il suo talento: chiediamo troppo?
Federico Pontiggia per cinematografo.it