Scritto, diretto e prodotto dai fratelli Vang, Bedevil – Non installarla è l’ennesimo tentativo in ambito horror, dopo i recenti (e, a tratti, azzeccati) Unfriended e Friend Request, di rendere i mezzi di comunicazione più utilizzati fonte di terrore e morte.
Ma se nei precedenti esperimenti focus del copione era il cyberbullismo, i fratelli Vang tentano una sterzata pur restando in carreggiata: cellulare alla mano, i registi e sceneggiatori di origine indonesiana provano con questo lavoro a spostare l’ago della bilancia verso l’invadenza messa in atto dalla più avanzata tecnologia.
Alice e i suoi amici sono figli della generazione social. L’installazione sui loro dispositivi di un’app misteriosa denominata “Bedevil” coinciderà con un’inquietante scoperta: l’app è infatti in grado di sondare le loro paure più profonde rendendole reali e soprattutto letali. Il gruppo di adolescenti dovrà così trovare un modo per sopravvivere all’applicazione killer.
Pur essendo un lavoro di carattere derivativo, Bedevil ha il pregio, tra i vari difetti, di risultare a suo modo un film intelligente, che non ricorre a un tema già sfruttato soltanto per dar sfogo a prolungate agonie e sobbalzi gratuiti.
Anzi, le sequenze mortifere (purtroppo) faticano a spaventare e l’effettistica artigianale non ne agevola certamente la riuscita. Che il tutto non sia legato a una mera strategia economica lo dimostra un buon agglomerato di spunti sociologici concentrati in soli 99’.
I fratelli Vang non tralasciano infatti il triste tema del razzismo, come neppure la distanza tra giovanissimi e mondo della scuola o genitori e figli. Tutto già visto, vero, ma i Vang non sembrano voler risultare ambiziosi o di larghe pretese e non perdono occasione per citare capostipiti del passato (Nightmare su tutti) e nuovi eccellenti lavori (il cinema di James Wan, ad esempio).
Un film che omaggia e aiuta a far comprendere ai meno vicini al cinema combattente quanto la nostra sfera privata sia ormai in pericolo. Purtroppo Bedevil pecca di una prevedibilità disarmante che, sul finale, (proprio come i dispositivi dei protagonisti) sfocia in un vero e proprio black-out.
Nico Parente per cinematografo.it