Il caso Kerenes

Călin Peter Netzer dirige un dramma rigoroso ma toccante, che esplora le contraddizioni dell'alta società rumena attraverso un controverso rapporto madre e figlio. Premiato con l'Orso d'oro alla 63esima Berlinale.

Cornelia Kerenes è una donna sulla sessantina, elegante e piacente, con una carriera affermata di scenografa teatrale a Bucarest. Agiata e ben inserita nell’élite cittadina, ha sempre tratto, dal proprio temperamento determinato e autoritario e dalla privilegiata condizione, la convinzione – spesso corroborata dai fatti – di poter avere il mondo ai suoi piedi. A farne le spese è soprattutto il figlio unico poco più che trentenne, Barbu, al quale la donna è legata da un rapporto ossessivo, morboso quanto mal riposto, data la riluttanza affettiva del giovane. Ma quando Barbu, alla guida della sua auto si rende responsabile della morte di un ragazzino quattordicenne, Cornelia non esita a usare ogni mezzo pur di evitargli la prigione. Vincitore dell’Orso d’oro e del premio della critica internazionale alla 63esima Berlinale, Il caso Kerenes è il terzo lungometraggio di Călin Peter Netzer, un’opera rigorosa, a tratti disturbante nella sua spietata lucidità, che parte dall’esplorazione di una dinamica archetipica universale – il rapporto madre e figlio – per allargare il proprio orizzonte sulla corruzione e le meschinità dell’alta borghesia del Paese.  Prima di procedere, è tuttavia doveroso sgombrare il campo da eventuali equivoci, perché, a dispetto del fuorviante titolo italiano (in originale Poziția copiluluiChild’s Pose, con riferimento all’omonima posizione dello yoga, evocativo richiamo alle implicazioni psicoanalitiche della relazione tra Cornelia e Barbu), Il caso Kerenes ha poco della dimensione mystery a cui si vuole accennare, laddove l’evento cruciale intorno al quale si snoda la trama – l’incidente mortale la cui vittima proviene da una famiglia povera– non è che il trait d’union tra le due dimensioni, quella privata e quella sociale, dal quale si dipana quel crescendo di furore iperprotettivo che spinge Cornelia a ostacolare il corso della giustizia pur di salvare, insieme al suo rampollo, la rispettabilità del proprio status, rispecchiando così il cinismo e l’ipocrisia di una classe corrotta e intrallazzona, avvezza a un uso del denaro come merce di scambio, perfino nei rapporti umani.

Lo stile è quello sobrio, asciutto, più vicino al documentario che al linguaggio della finzione tout court, che accomuna Netzer ad altri esponenti – il più noto Cristian Mungiu, ad esempio – del nuovo cinema rumeno; un approccio minimale che, tra tempi dilatati e dialoghi realistici ma affilati, restituisce senza reticenze l’urgenza di una riflessione immediata, che tuttavia non impedisce alla narrazione di prendere corpo, ma, all’opposto, le permette di rendersi comunque avvincente inglobando per gradi le innumerevoli sfumature sottese alla doppia linea del racconto. Ed è senza enfasi o pathos, che la regia riesce comunque a far emergere il forte impatto emotivo della storia, concentrandosi sui suoi personaggi, caratterizzandoli in profondità senza mai cadere nel manicheismo del conflitto di classe (all’opposto, li apre con pudore a sprazzi di umanità), tallonandoli con una macchina da presa in continuo movimento, e assecondando in lunghi piani sequenza le eccellenti interpretazioni dell’intero cast – sul quale troneggia, titanica e implacabile la star locale Luminita Gheorghiu – che confermano ulteriormente i molteplici elementi di pregio della Nouvelle Vague rumena. Da notare infine, come curiosità, la presenza in colonna sonora di due brani italiani: Senza giacca e cravatta di Nino D’Angelo e Meravigliosa creatura di Gianna Nannini, riproposta anche durante i titoli di coda.