Spesso si guarda con distacco, per non dire disprezzo, al cinema popolare degli anni ’80, quello che aveva Sylvester Stallone come faro guida e parlava di famiglia, sentimenti e violenza liberatoria. A quel cinema guarda esplicitamente Real Steel, il nuovo film Disney diretto dall’esperto di prodotti per grandi e piccini Shawn Levy (La pantera rosa, Una notte al museo) e centrato sul pugilato dei robot. Infatti nel 2020, la boxe dei robot ha sostituito quella umana e Charlie, ex-pugile ora manovratore di automi combattenti, gira l’America cercando di rimediare incontri e pagare i creditori: tutto si complica quando gli viene affidato per l’estate Max, il figlio abbandonato 10 anni prima. Assieme a lui e al robot Atom, Charlie s’incamminerà verso un percorso di riscatto. Tratto da un racconto di Richard Matheson di cui è rimasto solo lo spunto, lo script di John Gatins, Dan Gilroy e Jeremy Leven guarda più a Rocky e Over the Top che alla fantascienza letteraria USA, per realizzare un film che punta al cuore del grande pubblico. Tanto che il tema principale, quello del riscatto personale e sociale tipico della cultura americana, viene declinato attraverso il bisogno di comunicare e l’importanza di saper ascoltare, per due personaggi che devono mettere da parte il proprio orgoglio e la propria testardaggine.
Ma il film di Levy mette anche in scena l’umanità delle macchine, prima descrivendo i fluidi e il sangue robotico in chiave quasi umana, poi concentrandosi sulla “personalità” dell’automa, che si guarda allo specchio ed è a sua volta uno “specchio” che ripete i movimenti umani, catturando l’affetto di personaggi e spettatore. Film onesto negli intenti, abbastanza appassionante negli esiti, riesce a farsi apprezzare soprattutto per merito della confezione professionale, dalle musiche di Danny Elfman alla fotografia di Mauro Fiore (premio Oscar per Avatar) fino al perfetto montaggio di Dean Zimmermann. Ci sono i limiti di molti film targati Disney degli ultimi anni, fra cui l’insopportabile scena di danza a tappare i buchi della sceneggiatura, ma questa revisione sci-fi di un cinema fatto di lacrime e muscoli ha una buona tenuta e un bell’occhio per gli attori: Hugh Jackman, perfetto complice nel farsi rubare la scena dal saputello Dakota Goyo, e la bellissima Evangeline Lilly (la Kate di Lost). Tanto basta allo spettatore che, come al solito, nel finale si trova a fare il tifo come allo stadio.