Rapunzel – L’intreccio della torre: anacronismo Disney tra canzoncine e personaggi inconsistenti
26/11/10 – Si avvicina il Natale e Disney torna nelle sale. Nonostante in Italia si seguiti imperterriti a tradurre titoli originali anche perfettamente comprensibili, per di più sconvolgendone spesso il senso, sfigurandone eleganza, complessità, equilibrio, per la favola di Raperonzolo qualcuno ( vedi alla voce distribuzione) ha deciso che stavolta no, stavolta il titolo poteva restare quello, o quasi, visto che l’originale inglese recita Tangled. Rapunzel – che porta sullo schermo la favola di Raperonzolo – non è solo cacofonico, ma rende difficile riconoscere al primo sguardo (e al primo ascolto) un personaggio già di per sé non così celebre. La vicenda originale è tragica, cruenta, disperata. Naturalmente dell’origine fiabesca resta solo una lunga chioma gettata da un’alta torre, una strega cattiva e un cavaliere – che però sullo schermo diventa un ladruncolo – di grande coraggio.
Disney prova ad andare avanti innestando la retromarcia. Rapunzel è il classico esempio di quanto un film brutto possa essere un utile oggetto di studio. Dopo il tentativo, andato sostanzialmente a vuoto, di ripescare un pubblico nostalgico con i disegni animati di La principessa e il ranocchio la vecchia industria dell’immaginario per bambini tenta di aggiustare il colpo. Imbocca, senza l’alleanza della Pixar, la strada del 3D contemporaneamente provando a resuscitare i fasti delle vecchie macronarrazioni classiche (da Biancaneve fino a La bella e la bestia). La questione è più complessa e meno scontata di così, ma quel che conta è che guardando questo bizzarro lungometraggio si ha una forte sensazione di spaesamento: sembra di assistere a un catalogo di molti dei caratteri della produzione Disney prima del fenomeno Pixar, composto in modo che rimanga un evidente fac-simile cinematografico, un test, un campionario da fiera. Se si dovesse trovare una cifra del film, l’anacronismo sarebbe forse la più giusta. La colonna sonora è il tratto più vistosamente affetto da questo stortura: non solo i personaggi ricominciano a cantare come non si vedeva fare dagli ultimi anni Novanta – il punto di riferimento può essere forse Come d’incanto, anch’esso Disney, che parodiando, tra gli altri motivi della fiaba di celluloide, la canzone emotiva-narrativa in stile Sirenetta sembrava aver posto fine a questa proliferazione melodica – ma le canzoni sembrano anch’esse citazioni parodistiche dei grandi successi del passato disneyano. Il fatto che l’autore delle musiche sia lo stesso che ha firmato quei classici allora diventa una notizia interessante.
Cosa aggiungere sul film? I personaggi umani raramente hanno raggiunto un tale grado d’inconsistenza nella lunga tradizione del marchio di zio Walt; la sceneggiatura è un sacco vuoto che non sta in piedi, il disegno manca di qualsiasi spunto di originalità, di novità, della musica abbiamo già detto. Una delle poche cose positive è forse lo studio sui personaggi animali: soprattutto il cavallo Max e il camaleonte Pascal occupano lo schermo meglio di tutti gli altri messi insieme, hanno comportamenti, atteggiamenti ed espressioni complessi, precisi, efficaci. Il vantaggio più grande lo traggono dall’essere, per forza di cose, gli unici a restare zitti per tutta la durata del film (versi a parte, è ovvio). E anche da questo si potrebbero ottenere deduzioni interessanti.
Titolo originale: Tangled
Produzione: USA 2010
Regia: Nathan Greno, Byron Howard
Cast (voci originali): Mandy Moore, Zachary Levi, Donna Murphy, Ron Perlman, Jeffrey Tambor
Genere: animazione
Distribuzione: Walt Disney
Data di uscita: 26 novembre 2010
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