Quando meno te lo aspetti

Dal 6 giugno arriva in sala in questo finale di stagione la lunga e deludente commedia (più sentimentale che romantica) di Agnès Jaoui. La nostra intervista alla regista e interprete.

Agnès Jaoui è attrice, sceneggiatrce e regista di lungo corso (con più di una ventina di titoli all’attivo da interprete e una collaborazione come sceneggiatrice nientemeno che col maestro Alain Resnais). Al quarto film da autrice totale (in quanto interprete, sceneggiatrice e regista allo stesso tempo) ci arriva dopo un paio di successi internazionali al botteghino (Così fan tutti e Il gusto degli altri) e anche grazie all’inossidabile alleanza/collaborazione con il compagno di vita-attore-sceneggiatore Jean-Pierre Bacri.

Stavolta il pretesto vagamente satirico è smontare un po’ dei cliché delle favole. Quando meno te lo aspetti – che, come al solito, in originale titola più ragionevolmente Au bout du conte – tesse storie d’amori giovani e meno giovani, tormenti, tradimenti, abbandoni, riavvicinamenti e naturalmente illuminazioni affettive lungo centododici minuti estenuanti, piatti e inerti come di rado nel cinema commerciale d’oltralpe. Un ragazzo incontra una ragazza e i due sembrano destinati alla sempiterna felicità, ma basta l’apparizione all’orizzonte di un bel tenenebroso più maturo e lei capisce di aver sbagliato sentiero. Un’altra contempla da vicino l’amico che non avrà mai il coraggio di desiderare, tranne forse per l’intervento del solito destino alleato dei giusti (?). E poi ancora un uomo quasi vecchio, scontroso e scorbutico che teme troppo la propria morte per riuscire a capire che sta perdendo l’occasione d’amare; un padre e una madre riavvicinati dalla dedizione alla propria figlia, una strega vecchia e cattiva ma ancora bellissima, una fata madrina che sbaglia di grosso nel guidare la sua protetta, sogni rivelatori, apparizioni angeliche, e via di questo passo.

Senza una scrittura più che ragionata, esatta e strategicamente perfetta una commedia che vorrebbe essere corale si trasforma facilmente in un ingorgo narrativo. E non è la cosa peggiore: le stanche vicende, i fatti e i fatterelli di questi personaggi più che da favola da barzelletta, da racconto piccino, da chiacchiera all’ora dell’aperitivo, sono tutti asfissiantemente disegnati dentro l’ottuso, minuscolo orizzonte della media borghesia parigina. Non si dorme, non si fa l’amore, non si ride e non si piange (se non per far scenetta, come tratto del racconto naturalistico), non si sta nudi, non ci sono corpi né oggetti, ma solo scenografie amene a perdita d’occhio, costumi graziosi, acconciature, facce, faccine, faccette e battute sagaci a profusione (è il sigillo dell’intelligenza).

Una commedia insomma che vorrebbe ridere anche cinicamente dei luoghi comuni, dell’ipocrisia, della mediocrità del buon senso e finisce invece per essere più convenzionale delle convenzioni che critica. Un film retrogrado e retrivo di una femminista (la regista) che dice di credere ancora, da qualche parte dentro di sé, all’arrivo del principe azzurro redentore della vita mesta e grama dell’amata (dichiarazione della stessa Jaoui durante la conferenza stampa italiana).

Però è una commedia francese.

SILVIO GRASSELLI