Dal nostro inviato MASSIMILIANO SCHIAVONI
Ascolta le interviste di RADIOCINEMA ai protagonisti del film:
Premessa. Apriamo una raccolta di firme per salvare Filippo Timi. Attore di classe sopraffina, sta subendo in tempi brevissimi una tale exploitation commerciale che lascia sconcertati. Come spesso accade nel nostro cinema, una volta identificato il brand di un attore, le produzioni continuano a offrire al malcapitato ruoli a ricalco, ovviamente di volta in volta sempre più superficiali, stereotipati, vuoti. Filippo Timi è l’attore per ruoli più o meno “sociopatici”: per buone o cattive ragioni, si ritrova sempre negli stessi panni. Dal sociopatico criminale al sociopatico romantico, come nel caso di Quando la notte di Cristina Comencini. Timi si merita di più. Si merita un cinema dalle strutture più serie, che sia in grado di proporgli un prisma d’occasioni di reale valorizzazione delle sue grandi doti. Poi, il film, credibile almeno per una buona metà del film. Sembrava una Cristina Comencini diversa, meno calligrafica, meno autrice di cinema e letteratura per i salotti di belle signore, giovani e meno giovani, e magari regista rinnovata che sfida se stessa, che si mette alla prova su nuovi territori narrativi. Tutta la prima parte di Quando la notte, in effetti, lasciava qualche spiraglio in tale direzione, col suo bell’approccio di genere, ai confini del thriller psicologico. Un buon lavoro sul racconto per immagini, che usa il dialogo con accortezza e parsimonia. Si intravedeva un dramma di sentimenti, venuto da un romanzo della stessa Comencini, ma comunque l’impressione era di un trattamento “serio”, non in svendita. Un melodramma cauto, sottovoce, che vuole indagare anzi nella psiche profonda di una madre inquieta nei confronti del proprio ruolo.
Le attese, purtroppo, sono state smentite. Nella seconda metà il film rovina paurosamente. In primo luogo, nella totale incapacità di narrare, creare, dare profondità al personaggio di Filippo Timi. Poi, perché le psicologie diventano evidenti, ridondanti, esplicitate tramite dialoghi da soap-opera di alto livello. E, infine, perché alcuni dialoghi in particolare sembrano poco “ascoltati” dalle stesse autrici dello script, la stessa Comencini e Doriana Leondeff. Svarioni terrificanti, ridicolo involontario così evidente da lasciare a bocca aperta. Risate crescenti in sala, e fischi in chiusura. L’elemento unificante delle reazioni stampa, a quanto pare, è rabbia e sconforto per la frequente inadeguatezza del cinema italiano nelle sezioni competitive dei grandi festival. “Il mio film ha pochissime battute, e quasi tutte sono legate a un’emozione – ha cercato di difendersi la Comencini in conferenza stampa – Purtroppo ai festival le emozioni spesso non sono accettate”. Ma troppo facile sarebbe dire “Questo è buon cinema. Il problema è inserirlo in concorso”. No, il caso di Quando la notte è diverso. La Comencini ambisce ad altro, la sua aspirazione a un cinema di alto profilo è evidente. Più sconfortante, e magari più scomodo, è ammettere che tali ambizioni stavolta non reggono la prova. E peccato, infine, per Claudia Pandolfi, che si dedica al personaggio anima e corpo, con un trasporto meritevole di migliori occasioni.
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