“Qualcosa di straordinario” è una definizione che si addice bene al tema generale del nuovo film di Ken Kwapis, con Drew Barrymore, John Krasinski e Kristen Bell. Non altrettanto si può dire della realizzazione, che invece si inscrive perfettamente e senza troppa originalità all’interno dell’inesauribile filone cinematografico zoo-centrico. La storia è quella realmente accaduta di tre balene grigie che nel 1988 sono rimaste intrappolate sotto una banchina di ghiaccio nei pressi della costa dell’Alaska, e per la cui salvezza non si sono mobilitate solo le organizzazioni ambientaliste ma di tutto di più. Dal governo molto poco ecologista di Ronald Reagan alla marina sovietica, passando addirittura per le compagnie petrolifere. E questo sarebbe il Big Miracle (così il titolo originale) al cuore del film: la capacità delle tre balene di riunire per un attimo attorno a sé l’umanità più disparata in un angolo remoto del pianeta, per ricordare a tutti quanto sia fantastica la natura. Un bel quadretto, quasi da lacrimuccia, se non rispondesse in maniera tanto sibillina a quella discutibile filosofia secondo cui non importano i valori e le motivazioni, poiché si può ottenere il bene di tutti pur agendo per il proprio tornaconto personale.
Morale a parte, il punto davvero debole di Qualcosa di straordinario rimane l’appiattimento sugli standard canonici dei film che hanno per protagonisti gli animali, soprattutto se creature marine (a eccezione di squali e piranha, ovviamente). Sdolcinatezza a non finire, patetismo ricercato in tutti i modi, dalla musica alla recitazione e alle storie collaterali. E a proposito degli interpreti, c’è da notare la performance particolarmente scarsa di una Drew Barrymore dal volto tiratissimo e rigido, molto poco adatto ad esprimere il presunto carisma del suo personaggio, l’attivista di Greenpeace da cui parte la lotta contro il tempo per salvare le balene. Si vede che anche i suoi lineamenti devono aver accusato il gelo dell’Alaska… L’unica nota interessante del film è perciò la ricostruzione dell’atmosfera di fine anni ’80 e inizio anni ’90, con tanto di musicassette e radiolone. Ma anche con Reagan e quella spettacolarizzazione della cosa pubblica per cui sembra difficile provare nostalgia. Certo, non fa male ricordare che c’è stato un tempo non molto lontano in cui l’ambientalismo quasi non esisteva e il verde era un colore un po’ come tutti gli altri, ma se farlo vuol dire celebrare l’ovvietà e il pietismo (per non parlare poi della “politica del fare”), il risultato potrebbe non essere così piacevole come si potrebbe immaginare.
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