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“Siamo in piena commedia De Filippo”, dice Pierfrancesco Favino commentando un tipico incontro a tavola tra i tre coinquilini del film. E in effetti, Posti in piedi in paradiso, il nuovo film di Carlo Verdone, per la situazione teatrale e il racconto della nuova povertà sembra guardare al grande Eduardo. Peccato che, a differenza del maestro napoletano, non riesca a distinguere tra commedia e farsa. La storia è quella di tre professionisti, il critico Fulvio, il produttore musicale Ulisse e l’agente immobiliare Domenico, caduti in disgrazia dopo il divorzio: si ritrovano a vivere insieme in un appartamento, cercando di ritrovare un senso alla propria vita e ai propri affetti. Commedia dallo sfondo sociale attuale, come sempre in Verdone, scritta dallo stesso regista con Pasquale Plastino e Maruska Albertazzi per raccontare la crisi socio-economica attraverso gli occhi dei separati, nuova categoria in difficoltà del mutato assetto sociale.
Più che lasciarsi andare alla polemica contro le sentenze e l’atteggiamento delle istituzioni, il film racconta le dinamiche che portano dei professionisti di 40 o 50 anni a comportarsi di nuovo come post-adolescenti che abbandonano il nido, tra casa e spese spartite, disagi logistici, velate disperazioni esistenziali e finanziarie a cui si affianca però il peso di famiglie spezzate e dei loro detriti; Verdone è preciso nel descrivere i contesti in cui si muovono i personaggi, i loro rivolgimenti professionali e l’ambiente che frequentano. Peccato che il film sconti l’ormai palese, e forse irreversibile, involuzione del Verdone autore: come sceneggiatore non sa bene cosa e come raccontare il suo tema, sprecando le occasioni di riflessione e cercando un umorismo fatto di parolacce istintive, gag di grana un po’ grossa (anche se efficaci, come quella del tentato furto) e vecchi tormentoni, come la signora dal fiato pesante, che paiono fermi agli anni ’80; come regista confonde spesso i toni, mostra una mano pesante e soprattutto cade in grossolani errori di messinscena, montaggio e découpage con un clamoroso miscasting che fa di Diane Fleri la 36enne più giovane del mondo. Anche le musiche di Gaetano Curreri e Fabio Liberatori sembrano buttate vie, pleonastiche come la sequenza turistica a Parigi. Quello che funziona nel film, e non ne dubitavamo, è la prova del cast: Micaela Ramazzotti pare una Signora in rosso più sciroccata, Favino e Marco Giallini filano lisci con spontaneità e Verdone dirige lasciando due o tre zampate. Quelle che il pubblico gradirà e ricorderà, sperando si accorga anche dell’occasione che ha sprecato.
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