Patrioti e ribelli

03/11/11 - David Hare e Hanif Kureishi congedano il Focus UK parlando degli anni '80: quando il thatcherismo diede impulso al cinema britannico.

Dal nostro inviato ERMINIO FISCHETTI

Si è parlato di cinema inglese ieri pomeriggio al Festival di Roma. Un incontro che nella Sala Petrassi dell’Auditorium Parco della Musica ha tenuto desta l’attenzione dell’esiguo pubblico: quello fra David Hare, autore teatrale e sceneggiatore di fama di adattamenti come The Hours e The Reader – A voce alta e regista di opere come Wetherby, Parigi di notte e Page Eight, presentato proprio due giorni fa qui a Roma nella sezione Occhio sul Mondo, e Hanif Kureishi, romanziere nonché sceneggiatore di opere come My Beautiful Laundrette, Intimacy, The Mother, Venus. Si tratta di due figure simili eppure diverse del panorama britannico, più classico il primo e votato alla descrizione di interni borghesi, più legato alle sue origini e a tematiche di rottura, in particolare al conflitto fra Oriente e Occidente, il secondo. I due autori si sono incontrati, nella sede romana, per parlare di cinema, del loro cinema, e anche delle scelte compiute per la retrospettiva Punks & Patriots presentata all’interno della sezione Occhio sul Mondo (i due autori insieme a Michael Nyman, Terence Davies, Tilda Swinton e Joanna Hoagg hanno proposto due film ciascuno, per un totale di dodici, per raccontare patriottismo e ribellione britannici). Entrambi hanno rammentato di come il cinema inglese negli anni Settanta e Ottanta sia rifiorito attraverso la televisione, grazie al canale Channel 4, che produsse opere poi distribuite sia sul piccolo che sul grande schermo.

Opere che raccontavano uno spaccato di cinema contemporaneo che si ribellava all’allora nascente governo thatcheriano, un cinema che insieme alla sinistra inglese si poneva in una posizione di rottura. Non a caso, Hanif Kureishi, riflettendo sulla nostra contemporaneità, ha constatato che il cinema non è più ribelle come un tempo e ha affermato che oggi, sia in politica che nelle arti “C’è bisogno di una nuova sinistra, un nuovo movimento sociale che crei coesione”. David Hare, invece, ricorda che prima di allora il cinema britannico veniva continuamente criticato perché completamente al servizio degli americani: “Non eravamo altro che manovalanza per loro. Da noi era la televisione lo strumento più importante all’epoca, tutti i registi migliori, che poi sono stati portati al cinema, come Mike Leigh e Ken Loach, lavoravano per la televisione, hanno prodotto per la tv opere migliori di quelle che vediamo al cinema oggi. Quei registi facevano cose straordinarie e in Inghilterra non si può dire che c’è il cinema da un lato e la televisione dall’altro”. La discussione è proseguita con un’analisi del rapporto, molto forte, fra il cinema e la letteratura e Hare ha ricordato le accuse mosse dai francesi della Nouvelle Vague nei confronti del cinema d’oltremanica, a loro avviso troppo legato alla scrittura. Ha dichiarato Hare: “Furono proprio i francesi della Nouvelle Vague, che dicevano che il cinema non doveva essere letterario, a riempire i loro film di citazioni di romanzi francesi. Non è vero che il cinema non è letterario” e Kureishi ha sottoscritto queste parole, aggiungendo alla commistione tra le diverse forme d’arte, anche quella fra le culture.

Kureishi, che nella retrospettiva ha scelto due film importanti reppresentativi di due gap generazionali diversi – i Sessanta e gli Ottanta -, come pellicola “patriottica” ha scelto A Hard Day’s Night, di Richard Lester (1964), incentrata sulla figura dei Beatles, ma ha preferito parlare di My Beautiful Laundrette (da lui stesso sceneggiato), il film “ribelle” che nel 1985 ruppe definitivamente al cinema il tabù dell’omosessualità ricordando: “Non potevo non scrivere storie di questo tipo. Stephen Frears, il regista del film, mi diceva che l’azione doveva essere il più sporca possibile, reale, vera”. David Hare invece ha scelto un’altra opera scritta dal collega Kureishi, My Son the Fanatic, per mettere in evidenza l’elemento del multiculturalismo negli anni Novanta, ma si concentra maggiormente su The Fallen Idol, la sua scelta “patriots”, una pellicola della fine degli anni Quaranta, diretta da Carol Reed confrontandola con un altro classico dell’epoca, Breve incontro di David Lean, un film che “non mi piace perché non riesce a sostenere la grande forza dei sentimenti dei due protagonisti e li interrompe con degli intermezzi comici. Graham Greene, invece, nella stesura della sceneggiatura di The Fallen Idol non annacqua e rende tutto più vero”. Non a caso ha continuato Hare “Gli anni Ottanta erano un momento in cui si riparlava di David Lean e se non eri simile a lui, non eri arrivato. Era anche un periodo in cui chi faceva cinema non lo amava e non lo conosceva”. Questo certo non si può dire anche per questi due gentiluomini, che hanno fatto della commistione tra le diverse forme di espressione artistica una virtù e uno stile di vita.

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