Parola al Cinema – Uno sguardo sulla sceneggiatura
We Want Sex di Nigel Cole: solido prodotto di una convenzione narrativa ipercollaudata, la commedia proletaria britannica, ovvero una delle convenzioni più dignitose al mondo
(Rubrica a cura di Massimiliano Schiavoni)
10/12/10 – C’è modo e modo, da una latitudine all’altra del pianeta, per essere convenzionali. C’è modo e modo nel ripercorrere strade narrative fruste e consumate, e soprattutto nell’adottare mezzi narrativi fortemente strutturati e prevedibili. Il prodotto più comune e sicuro dell’attuale cinematografia britannica, il più simile a un mainstream nazionale, è qualcosa di piuttosto inconcepibile per, ad esempio, la nostra cinematografia attuale: la commedia proletaria e più o meno militante, che applica idee forti, approccio populistico e, a varie gradazioni, didascalico a un cinema solidamente scritto secondo percorsi tradizionali. Ed è cinema ideato come popolare, di diretta presa sul pubblico, non come cinema “di qualità”. Nella sceneggiatura di We Want Sex la struttura si sorregge infatti su un tracciato riconoscibilissimo: la lotta di Davide contro Golia, la donna, con tutto l’indotto ideologico riguardo alle sue lotte per i diritti, che si coalizza in battaglia per un progresso comune, la presa di coscienza in chiave sociale e civile. E lo svolgimento ricorre a tutte le svolte, peripezie e furberie più consuete: le difficoltà nel portare avanti la battaglia, un dramma piazzato a tre quarti del percorso (lo strategico suicidio del marito di Connie, che alza la posta in gioco e coincide con il momento di massima crisi per la battaglia di Rita e delle sue colleghe), il trionfo finale. E’ il poema dell’eroe, diligentemente rispettato dall’inizio alla fine, che è stato rilevato come assoluto culturale e narratologico nel cinema mainstream statunitense, ma che, con ogni evidenza, riguarda (almeno) tutto il cinema anglofono.
Il valore aggiunto, che distacca il cinema britannico dai cugini americani e che gli permette di raggiungere vette di qualità incomparabili nella sua natura di prodotto seriale e popolare, sta squisitamente nei meriti di scrittura. Perché, se il tracciato non prevede nulla di sorprendente, e anzi spesso sbanda verso ruffiani ammorbidimenti dei conflitti e delle asperità più problematiche, è pur vero che tramite la convenzione passa sempre e comunque una realtà, mai totalmente esemplare o stilizzata in un progetto narrativo palesemente “a monte”. Il pregio maggiore risiede nel far passare la realtà attraverso i personaggi, e più segnatamente attraverso i dialoghi. Una sequenza è emblematica: Rita decide di partecipare al congresso sindacale di Eastbourne. Il marito la insegue, cercando di trattenerla. Nel loro dialogo, Rita e Eddie sono personaggi, e al tempo stesso espressione di categorie storiche, senza la necessità di alcuna insistenza di eccessivo didascalismo. La donna rivendica i propri diritti, ma li rivendica in quanto Rita, e non in quanto “donna”. Rita esiste in quanto personaggio a prescindere dalla categoria che modellizza. Poi, certo, tutto il racconto è “aggarbato” e accattivante (vedi la ministra, virago tenace e simpatica a ogni costo, o alcune figurette tra le colleghe di Rita, o la fin troppo idealizzata sorellanza femminile). Ma, se pur di convenzione si tratta, la serietà e la professionalità dell’impianto è assolutamente ammirevole.