Parola al Cinema – Uno sguardo sulla sceneggiatura
Predators di Nimrod Antal: ricco cinema di serie Z, che sconta il difetto di una traballante consapevolezza postmoderna
(Rubrica a cura di Massimiliano Schiavoni)
23/07/10 – Finalmente un film totalmente, onestamente e spudoratamente brutto da far sorridere di simpatia. Predators di Nimrod Antal s’inserisce a pieno titolo nel filone dei sequel-remake di modelli horror e sci-fiction americani anni ’70 e ’80, tendenza che negli ultimi anni ha germogliato in varie direzioni. Non si tratta di un puro e semplice remake (gran parte di modesta qualità, in effetti, quelli approntati negli ultimi anni) ma piuttosto di una riedizione numero-zero, che vorrebbe riaprire una saga anni ’80 leggendaria solo per il primo titolo, il Predator di John McTiernan del 1987 col Governatore della California Arnold Schwarzenegger. Curiosità tipica della postmodernità degli anni 2000: gli episodi precedenti della saga sono intradiegeticamente compresi sulla linea temporale della narrazione (nei dialoghi vi sono riferimenti all’avventura di Schwarzenegger del 1987), per cui non è più solo remake, bensì sequel-remake. L’idea narrativa di partenza su cui il vecchio e il nuovo copione si fondano è da sana sci-fiction anni ’50: il mostro alieno da sconfiggere in ambiente ostile, il suo mimetismo da Guerra Fredda, il commando militare inviato a eliminarlo… Così come le allegorie sottotraccia riecheggiano senza mezzi termini riflessioni rozze e para-fasciste su diversità e conflitti etnici, sulla dolorosa inefficacia della comprensione e della pietà umana, e così via. Ma fermiamoci qui. Non vorremmo dare troppo peso a qualcosa che di fatto non ne ha, dato che sia McTiernan sia Antal sono palesemente interessati a intrattenere il pubblico e niente più.
Il problema, per il nuovo film, sta tutto lì. Non intrattiene, mai. E’ noioso, contraddittorio, animato da personaggi pochissimo interessanti. La poetica della peripezia infinita è condotta con stanco passo episodico. Topher Grace pare condannato ai ruoli simil-Venom di SpiderMan (stranissimo confino di un attore). E tanti e tali sono gli svarioni in sede di scrittura, a cominciare dai dialoghi di marchiato didascalismo ai limiti dell’idiozia (il mercenario intenerito Adrien Brody, sul finale, che si strugge sull’amata: “Ti preoccupavi solo degli altri, e non pensavi a te stessa”… tratto caratteriale del soldato Isabel mai emerso in tutto il racconto, se non in un singolo episodio meccanicamente inserito nella narrazione) che la risata, quantomeno, è assicurata. Tuttavia Antal mostra un tratto ulteriore di postmodernità. Spesso si prende vistosamente e consapevolmente poco sul serio. L’iperbole è inseguita più nel grottesco che nella meraviglia. Così la rielaborazione postmoderna su materiali narrativi pregressi si stratifica a più livelli: da sequel, a remake, a parodia. Il remake della serie B (Predator di McTiernan era questo, in fondo: un ricco film di serie B) produce serie Z. Purtroppo Antal non compie tutte scelte narrative coerenti, e in tal senso non si sa mai dove finisce l’ingenuità e dove inizia la consapevolezza critica di genere. Per questo, in ultima analisi, Predators è un brutto film e un brutto racconto. Fatta salva la struttura da “Dieci piccoli indiani”, che funziona sempre piuttosto bene come dispositivo narrativo a monte.
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