Parola al Cinema – Uno sguardo sulla sceneggiatura
L’esplosivo piano di Bazil di Jean-Pierre Jeunet: consueta struttura narrativa “alla Jeunet”, per un Amélie al maschile. Piacevole, garbato, falsamente provocatorio, un tantino irritante
(Rubrica a cura di Massimiliano Schiavoni)
07/01/11 – C’è un margine sottile tra l’impronta d’autore e la scarsità d’idee. L’ultimo film di Jean-Pierre Jeunet lascia sospesi tra le due considerazioni, e prima di tutto su un piano strettamente narrativo. Perché sì, da Il favoloso mondo di Amélie in poi, Jeunet si caratterizza per un tratto stilistico riconoscibilissimo, con piena priorità affidata all’impianto visivo. Atmosfera vagamente allucinatoria (qui ancor più che in Amélie, con maggiore aderenza allo stile dell’ormai lontano Delicatessen), fotografia curatissima, estrema ricercatezza e stilizzazione dell’inquadratura. Ma, se pure nell’impianto visivo è difficile distinguere tra la compattezza d’ispirazione e la maniera di se stessi, narrativamente tali dubbi sono meno giustificati, e si avverte la netta sensazione di assistere sempre allo stesso racconto, declinato in versioni solo apparentemente distanti. In Amélie, infatti, si distinguevano due tracce narrative principali: le piccole vendette di un personaggio “invisibile” contro varie ingiustizie, e la storia d’amore e “redenzione”. In L’esplosivo piano di Bazil si dà piena predominanza a un’elaborata e grottesca vendetta, condotta però secondo le medesime coordinate di Amélie. Ovvero il piccolo ingegno contro le grandi macchinazioni, la rivincita degli emarginati, e, qui in seconda battuta, anche il miracolo di un amore tra schizzati.
La macrostruttura narrativa, stavolta, è anche piuttosto macchinosa, eccessivamente elaborata per un’opera che aspira alle dinamiche di un cartone animato in carne e ossa. Mentre la microstruttura, ovvero la catena dei piccoli marchingegni messi in piedi da Bazil e i suoi amici, appare più riuscita e a tratti molto divertente, ma condotta secondo un percorso di pura ripetizione. Una sequenza-una gag, una dopo l’altra, andamento di racconto che sembra mirare anche all’antinarratività della pura comica visiva. Il tentativo di risalire a forme comiche fuori dal racconto, alla comica-di-per-sé di illustri precedenti nel cinema muto, è da apprezzare, ma non si sposa bene alla macrostruttura della vendetta contro i “cattivoni” dell’industria di armi. In altre parole, si fa fatica, nella fruizione dell’opera, a conciliare la dimensione di un puro divertissement basato sulla situazione comica tout court con un racconto troppo sovraccarico, ingolfato, inutilmente sovracostruito. E, come in Amélie, gratuitamente buonista. E’ troppo facile, e vagamente ambiguo, affrontare temi scottanti senza però assumersene la portata, anche in un contesto comico. Jeunet sceglie la polemica antibellica con l’atteggiamento di chi potrebbe scegliere qualsiasi altra cosa per giustificare e sorreggere la struttura del piano di Bazil. Una scelta secondaria, occasionale, accessoria. Per questo, e per il sospetto di una manierata ripetizione di schemi narrativi già percorsi dall’autore in precedenza, questo Amélie al maschile non ci convince. Troppo costruito per un puro e raffinato divertimento, troppo fintamente ingenuo per un racconto comico di vera e corrosiva dissacrazione.