Parola al Cinema – Uno sguardo sulla sceneggiatura
Figli delle stelle di Lucio Pellegrini: pallida commedia che vorrebbe essere “all’italiana”, ma risulta priva, come spesso nell’attuale cinema italiano, di vero coraggio
(Rubrica a cura di Massimiliano Schiavoni)
29/10/10 – Stupisce molto che Figli delle stelle di Lucio Pellegrini abbia addirittura sollevato vaghe questioni etiche sotto punti di vista squisitamente contenutistici: in primo luogo perché il contenutismo è un approccio critico ormai largamente superato dalla storia (e tutto il nostro parterre critico lo rifiuta per il cinema di tutte le latitudini, salvo poi , guardacaso, rispolverarlo solo per il nostro cinema secondo linee di malcelata spartizione ideologica), in secondo luogo perché l’occasione è davvero infelice. Non si può ridere del terrorismo? E quando mai? E soprattutto, in Figli delle stelle si ride del terrorismo? Ma dove?
Malgrado la presunta “spregiudicatezza” del soggetto, ci troviamo di fronte, in realtà, all’ennesima incarnazione del neo-canone politicamente corretto (la definizione calza a pennello più che mai) dell’attuale commedia italiana. I personaggi tentano di ripercorrere gloriosi modelli del nostro passato, secondo quella poetica dell’ingigantimento etico, ai limiti della macchietta, che però ha grosse difficoltà nel trovare buoni canali nei nostri attori di oggi. Che sono tutti buoni attori, a partire dal sempre ottimo Favino, ma che provengono da una formazione del tutto diversa, teatrale o televisiva, e la loro perfezione tecnica mal si attaglia alla ribalda cialtroneria di una moderna “armata Brancaleone”. Come spesso ormai accade, i toni sono smussati ed ecumenici. Si badi bene, non si tratta di una dolorosa e consapevole equidistanza morale, bensì di una fredda e lucida distribuzione, calcolata a tavolino al millesimo, di torti e ragioni, adesioni e distanze, affinché in sostanza niente faccia male a nessuno. Così i rapitori sono di per sé riprovevoli, ma tutti hanno una storia personale travagliata. Così, non a caso, l’unico rapitore ideologizzato farà la fine peggiore. Così il politico, in fondo, è un inerme povero diavolo ma anche una brava persona. Così il sequestro avviene per regalare il denaro del riscatto al fratello dell’operaio morto sul lavoro. Così Pepe ha la madre morente a cui racconta fandonie sulla propria situazione lavorativa. Così la riconciliazione finale (inaudita, questa sì offensiva) è impensabilmente garantita, col politico e l’ex-sequestratore che si ritrovano paciosi in riva al mare. Così la legge promessa dal politico (e qui si rasenta davvero un bovino ottimismo altrettanto offensivo) viene promulgata.
E’, per l’appunto, l’attuale commedia italiana mainstream, meccanica, mai veramente ispirata, scritta seguendo disciplinatamente le dosi del ricettario che garantisce di non scomodare mai nessuno. Aggiungiamoci pure che sotto un’ottica strettamente tecnica la sceneggiatura lascia molto a desiderare, con quella prima mezz’ora che fa un uso gratuito di flashback e flashforward, inutile complicazione narrativa per un soggetto pronto a uno sviluppo dei più lineari. E che si dimentica dei personaggi, o li disperde (Fabio Volo sparisce per metà del film). Questa è la commedia che deve spaventare per il suo intollerabile cinismo? Ciò che spaventa, semmai, riguardo all’attuale panorama culturale del nostro paese, è che qualcuno sia pronto a spaventarsi per un tale tripudio della convenzione più conciliante.