(Parola al cinema – Uno sguardo sulla sceneggiatura a cura di Massimiliano Schiavoni)
Sì, ok. Potevamo aspettarci qualcosa di più. Boris è un fenomeno televisivo strameritatamente di culto che negli ultimi anni ha mandato in visibilio i cinefili di casa nostra, e anche chi col mondo del cinema intrattiene da anni un rapporto intuitivo. E, pure, chi vuol farsi due risate fatte bene, a prescindere dal rapporto che s’intrattiene col cinema. Valore aggiunto, è un prodotto totalmente italiano, che fugge dalle strettoie estetiche e visive a cui la nostra tv ci ha abituati. Serie tv, ma girata e pensata in grande, con qualità quasi cinematografiche. Per la prima volta dopo anni, l’Italia produce un suo brand, sul quale lavorare in più direzioni. Tv, cinema, vero marketing.
Nella sua traduzione in cinema, in effetti il linguaggio rimane a metà strada, e anzi sul grande schermo appare più scadente di quanto appariva in tv. Una vera riflessione, e un vero tentativo di trasformazione del brand in ambiente-cinema, non ci sono stati. In sostanza, Boris – Il Film appare poco più di una puntata lunga della vecchia serie televisiva. E questo, in primis, per scelte di sceneggiatura. Che amplia sì situazioni e personaggi in un racconto unitario e anche meno episodico di quanto si potesse temere, ma che non va mai al di là dello sberleffo ai luoghi comuni e alle beceraggini della nostra produzione cine-televisiva. I personaggi restano tali e quali a come li abbiamo conosciuti nella serie tv, e le rabbie isteriche del buon René Ferretti si muovono nella stessa selva di volti, che si fanno tornare uno dopo l’altro, talvolta con giravolte e forzature di sceneggiatura poco motivate.
Tuttavia, i meriti della serie tv si riconfermano in toto. E, stavolta, per meriti di sceneggiatura. Il tratto che ha fatto la grande fortuna della serie sta nel suo ingigantimento a macchietta di figure che assommano le peggiori storture di tv e cinema nel nostro paese: il produttore maneggione e approfittatore, il regista frustrato, gli stagisti schiavizzati, i direttori della fotografia nullafacenti, gli attori belli e cani, gli attrezzisti rozzi… Il tutto, spinto al massimo grado della stilizzazione e del grottesco urlante. Ma i maggiori meriti di scrittura risiedono anche nello specifico del dialogo, scoppiettante di battute al ritmo di un minuto-una gag, col giusto tono di cinismo comico che aggiorna sapientemente la nostra tradizione a nuove cattiverie. Tratti narrativi da commedia all’italiana che però cercano altre vie, con escamotage di puro comico piuttosto rari nel nostro cinema (si veda l’utilizzo della gag “in secondo piano”, come le entrate in scena “di rapina” del personaggio di Pietro Sermonti).
Magari, in Boris – Il Film di linguaggio cinematografico se ne respira poco. Ma è bello vedere che in Italia, in anni di commedie inerti, si sa ancora essere cattivi. E si sa ancora far ridere, davvero. Tramite una narrazione che non cerca (finalmente!) la commedia di costume, e si pone invece come obiettivo, umile e ammirevole al contempo, di riscoprire il puro comico, pressoché sparito o scolorito nel nostro cinema. Comico prettamente verbale, ma anche fisico (le impagabili facce di quel grandissimo attore che è Francesco Pannofino). Talvolta, è sufficiente l’eccellenza di scrittura, come in questo caso, perché un film regga. Pur essendo a malapena un film.