Parola al Cinema – Uno sguardo sulla sceneggiatura
Incontrerai l’uomo dei tuoi sogni di Woody Allen: il buon Woody risale ad alte quote, sempre ripetitivo, sempre fedele alla sua idea di racconto, ma stavolta in ottima vena
(Rubrica a cura di Massimiliano Schiavoni)
17/12/10 – Immancabile appuntamento annuale con l’universo chiuso, ripetitivo e autoreferenziale di Woody Allen. Che ormai da vent’anni ha consolidato due, tre percorsi narrativi, e che puntualmente li ripete di film in film, come una serie infinita di variazioni sul tema di disegualissima riuscita. Stavolta è un buon Allen. Stavolta è il turno della variazione sul tema della commedia crepuscolare familiare, del riecheggiamento shakespeariano, della girandola sentimentale, delle tentazioni esoteriche (già al centro del racconto in altre occasioni alleniane). Sempre upper class, sempre di ambiente intellettuale. In terra inglese, come da qualche anno capita sempre più spesso, e con un elemento ricorrente nell’ultimo decennio: il rifiuto della senilità, le difficoltà ad accettare la propria vita che cambia in funzione dell’età. C’è anche l’oca giuliva e un po’ puttana, come da rigoroso copione alleniano. E, in seconda battuta, l’aspirazione al talento che si chiude con un furto di talento, già rintracciabile in Pallottole su Broadway e, in chiave tragica, nel cinismo di Match Point. Nessun valore aggiunto, niente di nuovo, niente che non si conosca già, e che anzi non si sia visto, rivisto e rivisto nel suo piccolo universo diegetico. L’impaginazione visiva è di una semplicità ammirevole e disarmante insieme. Un’economia di mezzi espressivi che raggiunge le vette della più asciutta classicità. Il “gioco” della macchina da presa è limitato alla sua più essenziale utilità. Proprio a metà del racconto, infatti, troviamo un lungo piano-sequenza in interni che dev’essere stato un notevole tour de force recitativo per gli attori e di ripresa e coordinazione per il regista. Ovvero, la macchina si diverte solo e soltanto quando anche il racconto si diverte. Quando il testo lo chiede, quando è necessario.
Ma la forza che sostiene il film, e che lo trasforma in uno dei migliori Allen degli ultimi anni, sta tutto nella scrittura. Della brillantezza dei dialoghi alleniani si sa già tutto. Ciononostante, stavolta è la solidità della struttura narrativa che gioca il ruolo più importante. Storia corale, a incastri, in cui tutti cercano di esprimere e concretizzare desideri, ma nessuno, alla fine, ottiene nulla. Solo chi è approdato a un totale mondo di illusione può dirsi in qualche modo vincitore. Scontando, però, la rinuncia alla realtà. Conclusioni tetre e oscure di una commedia apparentemente solo “mondana”. Oramai la dimensione diegetica di Allen è il racconto filosofico, tutto fondato su una o due piccole convinzioni ontologiche, che strutturano e motivano la narrazione. Il suo universo non prevede la realtà come entità di riferimento, bensì un coacervo di richiami colti e riecheggiamenti di classici letterari e/o cinematografici. Quando il romanzo, quando il teatro, quando il cinema stesso. Anche quando i suoi racconti sono ambientati nel presente, sui volti, i luoghi, le città si stende una patina di classico e antico. Certo, talvolta si avverte una certa “asfissia”, tanto sono conchiusi ed esclusivi gli universi diegetici evocati, e lontani dalle consuete mimesi di realtà a cui il cinema ci ha abituati. Tuttavia, quando, come in questo caso, la scrittura è brillante e il gioco attoriale ben diretto, Allen condivide con noi il suo entusiasmante trastullo narrativo, e implicitamente ci dà una sua lettura del cinema. Un gioco, per l’appunto, come la vita.