Parola al Cinema – Uno sguardo sulla sceneggiatura
Il regno di Ga’Hoole – La leggenda dei guardiani di Zack Snyder: il cartoon 3D che, da nuovo linguaggio visivo, si trasforma in trionfo della convenzione mainstream USA
(Rubrica a cura di Massimiliano Schiavoni)
12/11/10 – Mai avrei pensato che, un giorno, mi sarebbe stato necessario sapere cos’è il ventriglio dei gufi, e che mi sarei dovuto documentare al riguardo, a posteriori, per analizzare il tessuto narrativo di un film. Così è stato. E ciò, in primo luogo, testimonia dei tratti che caratterizzano e mettono in seria difficoltà la fruizione del nuovo film di Zack Snyder: sovraccarico narrativo, e scarsa chiarezza sulle regole fondanti dell’universo fantasy evocato. Capita spesso col fantasy americano, d’animazione e non, che il mondo di riferimento ricreato rischi l’opacità, che presupponga eccessive ellissi, che le regole “eccentriche” su cui tali mondi si basano restino oscure e poco accessibili per chi non ha dimestichezza con la fonte letteraria d’origine. E’ successo, su vastissima scala, fin dalla trilogia de Il Signore degli Anelli di Peter Jackson, e spesso lo psicodramma si ripete. Vedere un film e trovare grosse difficoltà a comprendere gli snodi del racconto perché non si è “iniziati”. Che noia.
Ma i limiti de Il regno di Ga’Hoole non si riducono a questo difetto di composizione narrativa. Il discorso è più ampio, e coinvolge la destinazione 3D del film, o meglio la progressiva e rapidissima cristallizzazione di canoni narrativi 3D che, nei casi peggiori come questo, dominano, sovrastano e soffocano qualsiasi vera narrazione. Tale nuovo linguaggio visivo, a poco più di due anni dalla sua apparizione, procede ormai spedito verso una propria rocciosa definizione, e quel che avvilisce del film di Snyder è proprio la sua piatta adesione a percorsi narrativi iper-convenzionali. Se il 3D doveva essere la novità tecnica che avrebbe rivoluzionato il racconto cinematografico, allora il progetto sta sbandando tristemente. Perché Il regno di Ga’Hoole è zuppo delle retoriche più bovine del cinema statunitense, perché evoca anche conflitti tragici e “adulti” per un film d’animazione, ma coniugati secondo una retorica espressiva tronfia e pompieristica (quei pedantissimi ralenti, volenterosamente orientaleggianti…). Il 3D, semmai, da mezzo si sta trasformando in fine, ovvero tutta la narrazione diventa funzionale a “ciò che si può fare col 3D”. E mantenendosi sempre negli alvei rassicuranti della convenzione, col gufetto protagonista Soren eroe positivo che più insopportabile non si può. E poi, sia detto fuori da qualsiasi spirito contenutistico, non fa comunque piacere sentir riecheggiare, sullo sfondo allegorico, terrori da Enduring Freedom nel racconto di una sorta di guerra civile tra volatili. Siamo forse un po’ troppo ossessionati da “teorie del complotto”? Può darsi, ma intanto una bambina seduta vicino a me continuava a chiedere ai genitori che fine avesse fatto il fratello cattivo di Soren. Non contemplando nemmeno, nella sua ingenua apertura al mondo, che pur in un universo diegetico Hollywood mainstream la “cattiveria” di un personaggio che si perde nel “lato oscuro della Forza” possa essere punita con la morte, e che non gli sia concessa alcuna opportunità di redenzione. Dopo il West, insomma, gli americani conquistano la terza dimensione, ma per farne un ennesimo terreno narrativo classico, polveroso, retorico, e pure un po’ guerrafondaio.