Palermo Shooting, di Wim Wneders
L`insostenibile leggerezza del cinema fatto al computer.
29/11/08 – La fotografia e il cinema al tempo del digitale. Due arti della visione messe alla prova da una tecnologia fortemente intrusiva, capace di trascinare ogni immagine in un gorgo di artificiosità che rischia di minarne alla base il già ambiguo rapporto con la realtà . Un ardito esploratore della settima arte come Wim Wenders non poteva non rimanere affascinato da queste dinamiche: ecco allora prendere forma un altro viaggio (tema molto caro al regista tedesco) dai grattaceli ultra moderni di Dusseldorf alle meraviglie barocche e decadenti di Palermo, universo surreale al limitare del sogno e della metafisica. Protagonista di questo spostamento verso una dimensione ”altra”, pervasa di arte e di emozioni pure – non modificate al computer – è un fotografo tedesco di successo, convinto che il senso delle immagini risieda solo nella loro superficie, e sicuro di poterle manipolare a proprio piacimento per ricreare un mondo soggetto alle sue leggi di frivolo esteta. Finn (il cantante tedesco Campino), dunque, è un personaggio squisitamente wendersiano: un uomo talmente avvezzo ad imprimere la propria visione personale sulle rappresentazioni della realtà , da aver perso la capacità di vedere davvero ciò che lo circonda, di coglierne l`anima e la naturale bellezza. Il suo è il tipico occhio reso cieco dalle tecnologie per riprodurre il mondo esperibile: strumenti ambigui e ingannevoli, viziati da quell` illusione di onnipotenza che deriva dalla presunta capacità di vincere gli dèi del tempo, della vita e dello spazio, catturando piccoli pezzi di mondo e consegnandoli all`immortalità della raffigurazione. Da qui una sorta di cannibalismo dell`immagine riprodotta meccanicamente che, sin dalla sua nascita, ha cominciato a tiranneggiare su altri linguaggi e altri sensi, raggiungendo l`apice del suo predominio grazie allo sviluppo del video e del digitale.
Palermo Shooting, dunque, si riallaccia in pieno al filo conduttore (forse all`ossessione) della controversa filmografia di Wenders. Anche questa pellicola, infatti, sembra riflettere in prima istanza sul rapporto tra l`atto del vedere e quello del rappresentare, mettendo in luce lo scarto esistente tra i due e la necessità di ritrovare il controllo sulle tecnologie che allontanano l`uomo dall`esperienza allo stato grezzo. Non a caso, la redentrice del tormentato fotografo sarà una restauratrice (Giovanna Mezzogiorno): artista artigianale, che ridà l`anima alle opere su cui il tempo ha deciso di prendersi la propria rivincita. Com`è tristemente noto, però, Wenders non brilla ormai da anni di quel talento visionario che ha reso grandi i suoi vecchi film. Il regista sembra aver perso la capacità di osare, epurando il suo stile da quei vuoti narrativi estremi dove la potenza delle immagini e del silenzio poteva dispiegarsi in tutta la sua freschezza. In Palermo Shooting, addirittura, il lato onirico viene rappresentato attraverso quella manipolazione computerizzata che si vorrebbe deprecare, mentre la forza suggestiva delle immagini appare dosata con poca cura. Mentre funziona abbastanza bene nella prima parte del film – ambientata in una Dusseldorf asettica e geometrica, quasi fantascientifica – risulta piuttosto diluita nelle sequenze palermitane, dove il compito di incantare viene lasciato alla bellezza di una location che di sicuro sprigiona da sola fascino e mistero, ma da cui si potrebbe trarre di più.
A lasciare maggiormente attoniti, tuttavia, è il carattere didascalico della storia, dove si tenta di esplicitare con le parole significati troppo profondi per essere riassunti in qualche battuta, in passato affidati alla capacità sintetica dell`argomentazione visiva. In questo modo le immagini del film perdono vigore, lasciandosi spesso soffocare proprio dal peccato capitale della superficialità contro cui il regista si è sempre battuto nel suo cinema. Basti pensare all`esplicita citazione di Antonioni in quella sorta di blow up digitale che i protagonisti fanno delle foto scaricate al computer: un tributo piuttosto scarno e ludico, che non ha nulla della profondità dell`originale. Allo stesso modo, il discorso sulla morte, portato avanti con costante riferimento a Bergman, sembra possedere un carattere prettamente favolistico (se non addirittura fantasy) che cozza non poco con la pretesa di riflettere sul ruolo del cinema e della fotografia nell`esperienza umana del reale e della sua rappresentazione. Insomma, Wenders al digitale è un Wenders fin troppo ”spiegato”, che concede poco spazio al piacere dell`evocazione. Lasciando da parte la nostalgia, però, Palermo Shooting rimane un film godibile, in cui si continua a riflettere in modo gradevole e inusuale sull`arte e sul suo statuto nell`epoca contemporanea.
(LAURA CROCE)