Dalla nostra inviata LAURA CROCE
Ascolta l’intervista di RADIOCINEMA alla regista del film:
Dopo aver ospitato Shirin Neshat e Jafar Panahi, Venezia torna a parlare di Iran, e lo fa non solo con la presenza della prima disegnatrice di fumetti proveniente dalla Repubblica Islamica, Marjan Satrapi, ma anche con un documentario tutto italiano firmato dalla giornalista Monica Maggioni e intitolato Out of Teheran – Four Stories. Dopo aver portato l’anno scorso al Lido, sempre nella sezione Controcampo Italiano, l’apprezzato Ward 54, la regista si cimenta con il racconto duro e angosciante dell’esperienza di quattro rifugiati politici sparsi per il mondo tra Iraq, Italia, Parigi e il Nord Europa, ma tutti accomunati da un unico bruciante desiderio: tornare nella Patria da cui sono stati costretti a fuggire perché perseguitati da un regime che non ammette il libero pensiero. Le storie scelte da Monica Maggioni sono quella di un professore universitario, Abbas, fuggito oltre il confine dopo essere quasi morto in prigione; di Ebrahim, giovane blogger cresciuto all’epoca del progressista; Khatami, torturato e violentato in cella solo per aver diffuso il proprio pensiero nel cyberspazio e il reporter televisivo Hossein, costretto a scappare per non consegnare al regime i video girati durante le rivolte post-elettorali del Green Movement, che avrebbero permesso ai Pasdaran di identificare e perseguitare moltissimi oppositori. Tra loro c’è infine una giovane donna, Narges, che non parla direttamente della propria esperienza ma fa da voce narrante all’intero documentario, per poi svelare nel finale la sua vera identità: si tratta di Narges Kalhor, figlia di un portavoce del governo estremista di Ahmadinejad, costretta all’esilio dopo aver parlato pubblicamente della questione del rispetto dei diritti umani in Iran. Sullo sfondo, i dossier di tanti altri volti che si sono opposti alla Repubblica islamica pagando sulla propria pelle le loro idee, come il regista Jafar Panahi e come tanti altri cittadini comuni di cui qui, in Occidente, raramente arriva notizia.
Asciutto e lineare, Out of Teheran si costruisce tutto intorno ai racconti di queste vittime dell’estremismo, ai loro occhi dal taglio orientale, malinconici e penetranti come i canti di nostalgia dei poeti persiani. Qualche virtuosismo ne arricchisce l’immagine. I rami secchi che spesso accompagno le parole di Ebrahim, il giovane brutalizzato dagli aguzzini, sembrano voler rimandare alle conseguenze psicologiche e umane delle torture, che non feriscono solo il corpo ma oltrepassano la carne per andare a colpire il profondo dell’anima, cercando di inaridirlo fino ad appassire. Niente di così nuovo o trascendentale, si potrebbe obiettare, ma comunque un modo per dare voce a quelle tante storie che sfuggono alla ribalta della cronaca perché riguardanti persone comuni e non i “nomi” della scena politica e culturale iraniana. Il rischio, però, è quello di perdere l’obiettività, a cui rimangono poche armi di fronte alla vista di ragazzi che giacciono in pozze di sangue solo per essere scesi in strada a manifestare. Manca poi il grande protagonista, l’Iran, a cui ovviamente la regista non ha avuto accesso, ma è un elemento in più per comprendere il vuoto nel cuore dei protagonisti del film, grati ma estranei alle grandi metropoli e ai popoli che li hanno accolti.
Quello della Maggioni è dunque un documentario apertamente schierato con un punto di vista preciso e cristallino, ma comunque in grado di generarare empatia nello spettatore grazie all’elemento più forte, potente, e in parte ricattatorio, a disposizione del cinema di non-fiction: l’uomo, la sua forza e la sua fragilità.