Nata sotto il segno delle polemiche è appena trascorsa la premiazione più celebre del mondo cinematografico: quella degli Oscar, arrivati alla loro 84esima edizione. Dopo le dimissioni di Eddie Murphy, che si è rifiutato di presentare questa edizione per solidarietà con il suo amico produttore Brett Ratner, costretto a farsi da parte dopo infelici battute omofobiche, la cerimonia si è di nuovo rituffata in un classico hollywoodiano, con Billy Crystal per la nona volta a calcare il palco del Kodak Theatre. Kodak Theatre ancora per poco, visto che la celebre insegna sarà rimossa, per via del fallimento della famosa casa di produzione per materiali cinematografici, anche se ancora non spunta il nome per un possibile sostituto. Comunque la serata è trascorsa in perfetto Crystal–style, con il presentatore attore canterino che ha esordito inserendosi, come da copione, nelle immagini dei ben nove film nominati. L’Academy si è dimostrata molto politically correct premiando Octavia Spencer come miglior attrice non protagonista per The Help (anche se avrebbe potuto fare di più premiando anche Viola Davis come miglior attrice protagonista, invece la scelta è caduta per la terza volta su Meryl Streep). Come da pronostico, sul versante maschile la statuetta è andata a Christopher Plummer per Beginners, l’attore più anziano di sempre a vincere in questa categoria. Chissà, forse sarà perché i membri dell’Academy sono stanchi di dare il solito premio alla carriera o in memoriam.
Secondo le previsioni è arrivato anche il trionfo di The Artist di Michel Hazanavicious (5 statuette: film, regia, colonna sonora, costumi e attore protagonista con Jean Dujardin, primo attore francese a vincere questo riconoscimento), a scapito di Hugo Cabret che, pur raggiungendo anch’esso il numero di 5 Oscar, viene sostenuto soprattutto dai premi tecnici. Grazie al film di Scorsese arriva un Oscar anche per l’Italia con il riconoscimento a Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo per la migliore scenografia. Doverosa la dedica di Ferretti al nostro paese, con buona pace di Pil e Spread. Oscuri presagi all’orizzonte. Si ha la sensazione che anche questa cerimonia, così come i due film rappresentati, uno (Hugo Cabret) sugli albori del cinema e l’altro (The Artist ) che sull’era del muto, scopiazzando un po’ da Viale del Tramonto, un po’ da Cantando sotto la pioggia, sia stata colta da una nostalgia del passato, in un momento in cui la crisi di idee, quella economica e l’ipertrofia della tecnologia hanno preso d’assalto il cinema d’oltreoceano.
E non è neanche un caso – a conferma della crisi creativa di Hollywood – che l’anno scorso ci sia stato il trionfo di un film inglese, Il discorso del Re, che puntava sull’uso delle parole, mentre quest’anno è accaduto a un film francese muto dove si pronuncia una sola parola. Cosa è rimasto del cinema americano di una volta con i suoi Billy Wilder, invocati con adorazione da Hazanavicious? Sicuramente i premi minori e il solito colpo di genio di far vincere l’ottima sceneggiatura originale del, come sempre assente, Woody Allen con Midnight in Paris. Guardando altrove, vince per il miglior film straniero l’iraniano Una separazione, vittoria che dimostra forse come gli americani non perdono il vizio di interpretare “l’alterità” come identità propria. Quanto alla serata, tra coreografie assenti ed una messa in scena poco suggestiva, hanno lasciato spazio alla fantasia solo le acrobazie del Circle du Soleil, per il resto tutto ha avuto il suo, programmatico, lieto fine. Forse una delle poche caratteristiche di una cerimonia non certo da favola.