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(Di Giovanna Barreca)
29/09/10 – Le devastazioni mentali di un conflitto invisibile. La guerra contro un nemico spesso sconosciuto. Da sempre individui troppo giovani per prendere decisioni ragionate seriamente si ritrovano su campi di battaglia. Necessità economiche, ignoranza, li portano a pensare che quella sia l’unica via per assicurarsi un futuro “alla loro portata”. In Noir ocean di Marion Hänsel – presentato all’interno delle Giornate degli autori alla 67. Mostra del cinema di Venezia – Massima, Mariaty, sono a bordo di una nave della Marina francese che si è spinta fino a Mururoa, nel Pacifico per effettuare esperimenti nucleari. Quando percepiscono i drammatici effetti di quello che stanno facendo, sono incapaci di reagire, sono incapaci di sostenerne il peso.
Abbiamo molto amato questo film: l’oceano vuoto, la claustrofobia degli interni della nave, le voci spezzate dei giovani marinai, la disperazione dei loro volti che traspare in ogni inquadratura (soprattutto campi medi e macchina a mano), la loro fragilità palpabile, il bisogno di amicizia, le angoscie, i silenzi. Giovani nel film protagonisti di una storia del passato ma con sentimenti che li accomunano ai giovani che ancora oggi le nazioni evolute del mondo mandano a combattere in Afghanista, in Iraq. Nei racconti autobiografici di Mingarelli, dai quali la regista ha tratto la sceneggiatura, l’autore scrive “ho pianto su tutte le madri che ignorano quanto soffriamo”. La riportiamo perché alla conclusione del film, in molti è stato forte lo sdegno al ricordo di quello che per oltre 30 anni la Francia (che ha ostacolato velatamente le riprese del film perché il segreto militare su quegli avvenimenti è caduto da qualche anno, gli archivi sono accessibili ma raccontare la verità è ancora cosa scomoda) e altre superpotenze hanno commesso per ‘proteggerci’, e in altri la voglia di stringere in un abbraccio protettivo i giovani protagonisti: nella loro fragilità e impotenza era facile identificarsi.