Dal nostro inviato EMANUELE RAUCO
“Mettere la freccia, affinché l’artista superi il personaggio”: è stato questo lo scopo di Franco Califano quando ha detto di sì a Stefano Veneruso per realizzare Noi di settembre, il documentario/ritratto sul chansonnier all’amatriciana presentato al Festival Internazionale del Film di Roma come evento speciale: forse l’obiettivo non è stato del tutto raggiunto ma il personaggio è così letteralmente straordinario che non si poteva non raccontare. Ripreso in casa o nel cortile, mentre va a un concerto all’Ambra Iovinelli e mentre canta, intervallando il tutto con brani di repertorio, non solo musicale, il film raccoglie una serie di confessioni e riflessioni (più interessanti le prime che le seconde) che partono dall’infanzia in collegio e arrivano alla paura della morte. Scritto dal regista come e attraverso il recital che il cantante tenne proprio al teatro romano, il film pone in rilievo il lato profondamente umano dell’artista, non negandone difetti e debolezze, anzi facendone un punto di forza nella descrizione del suo universo artistico e del suo background.
Nato a settembre e quindi concepito sotto le feste di Natale, “non previsto, tra gente ubriaca con le noccioline in bocca”, e perciò destinato a essere un artista come Frank Sinatra, Califano percorre i momenti più significativi della propria vita, si affida del tutto alla macchina da presa e parla della sua infanzia, dei due arresti che gli hanno fatto saltare i contratti con la Paramount (il film è punteggiato dalle immagini di Gardenia di Paolella), di Pasolini e degli intellettuali, delle sue paure e del suo qualunquismo: proprio come un recital, Veneruso fa partire i temi e le parole del Califfo dai testi delle sue canzoni e costruisce il climax emotivo a partire da brani come il capolavoro Minuetto o la celebre Tutto il resto è noia. Cinematograficamente, forse, è tutto qui: ma Califano è spassoso, imprevedibile, auto-ironico, un uomo che ha fatto e subito tutto e che basta a riempire 90 minuti di film. Un viaggio musicale e personale nel Johnny Halliday romano che affascina anche gli scettici, quelli che più dell’artista e songwriter conoscono il playboy e l’uomo da reality: ed è un peccato, perchè con questo film l’artista ha tutte le carte in regola per superare il personaggio, anche se “quando vinci i premi di qualità, vuol dire che non vendi niente”.