Ribelli con causa in mostra a Torino per il Risorgimento
(Dalla nostra inviata Giovanna Barreca)
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11/03/11 – Noi credevamo. Il risorgimento secondo Martone è la mostra inaugurata al Museo del cinema di Torino (10 marzo-15 maggio). Si tratta di un lavoro complesso curato dal direttore Alberto Barbera, con la complicità di Ippolita di Majo, per rileggere attraverso 170 immagini il film Noi credevamo, un’opera affascinante che coniuga la complessità della riflessione storica con una narrazione di rara potenza espressiva e una direzione di attori appassionata. “Attori –precisa il regista Mario Martone – che hanno aderito in maniera impressionante al progetto. Sono molto felice che le foto della mostra riescano a cogliere questo aspetto. Trovo che il lavoro sulle immagini inoltre regali una nuova narrazione al film; sia una sorta di nuovo e ulteriore montaggio”.
In effetti, passo dopo passo, percorrendo l’ellisse della Mole, abbiamo ammirato come sia possibile seguire la narrazione e soffermarsi sugli aspetti complessi del film anche grazie alle importanti didascalie che Barbera ha curato personalmente traendo i testi dalla sceneggiatura e dall’introduzione al libro di Martone (ed. Bompiani). 120 fotogrammi originali, fermi – ‘scaricati’ dall’originale girato con la Red one – e molto potenti essendo opera del regista e del suo direttore della fotografia Renato Berta, che consentono di trarre esattamente ciò che gli autori hanno inteso realizzare, senza interpolazioni di sorta e, soprattutto, senza il filtro di un punto di vista e di una tecnica diversa, necessariamente sovrapposti dall’occhio e dalla mano del fotografo di scena. Inoltre non viene meno la densità pittorica del film, che le 50 foto di scena presenti possono solo evocare.
D’altro canto il gioco con questi altri scatti di fotografi importanti – come Roberto Benetti, Marco Piovanotto, Franco Bellomo, Giuseppe Cucco – permette di ripercorre i personaggi, i luoghi, le azioni e i momenti più salienti del film e della sua lavorazione. Aspetto importante per il quadro complessivo del film. “Non essendo un’opera celebrativa ci permette di utilizzare la nostra Unità per ricercare in quel periodo i problemi che ancora oggi assillano il nostro Paese, in cerca di identità” precisa ancora Barbera nel volume che accompagna la mostra (ed. Il castoro) parlando appunto di “un film ricco di passione civile, di chi scopre nel passato i germi delle degenerazioni del presente, non accontentandosi di guardare all’indietro ma facendo della radiografia storica una straordinaria occasione di riflessione sull’oggi”. Non a caso la sua introduzione è intitolata: “Gioventù bruciata” perché il susseguirsi d’illusioni e sconfitte, di eroismi e tradimenti (veri e presunti), di dedizioni assolute e rinunce immense, di contraddizioni irrisolvibili e sofferenze senza fine è quello che caratterizza la vicenda di Salvatore, Domenico e Angelo.
Il film è in tutta evidenza la tragedia della gioventù tradita dall’irriducibile tentazione del trasformismo e dal cinismo della politica, che s’intuisce governata da Cavour al quale si deve la regia del processo di riunificazione, anche se Martone non lo mostra mai. Così come sorvola sulla figura di Garibaldi e consegna a Mazzini (Toni Servillo) una parte marginale proprio perché vuole puntare sul sacrificio di tutti quei giovani che pagarono un enorme contributo di sangue per gli ideali dell’unificazione del Paese. Ribelli con causa. Protagonisti di una stagione rivoluzionaria, dinamica. Tanti giovani che rischiavano la pelle per un ideale, e che hanno significato tanto per i ragazzi di oggi che da subito hanno dimostrato grande amore per il film, volendolo durante le occupazioni delle università e dei licei.
Nel catologo, oltre alle immagini della mostra e all’introduzione di Alberto Barbera, interviste inedite a Mario Martone, al direttore della fotografia Renato Berta, al cosceneggiatore Giancarlo De Cataldo, all’attore Luigi Lo Cascio, al coproduttore Carlo Degli Esposti.