Flussi seriali – Percorsi e influenze odierne e vintage delle serie americane a cura di Erminio Fischetti
Nella scorsa stagione della rubrica abbiamo parlato spesso dei temi affrontati dai tv movie e dalle miniserie all’interno di canali via cavo come HBO, Showtime e Lifetime. È forse necessario scorgere anche qualche brandello all’interno dei canali generalisti che con tale genere hanno avuto una storia molto più lunga e complessa. E la NBC, in tal senso, è forse stata la produzione più interessante sotto l’aspetto storico e produttivo. Per prima cosa definiamo brevemente con qualche cenno biografico il canale: la NBC nasce nel 1926, l’anno prima della sua antagonista, la CBS, come stazione radiofonica, ma dal primo gennaio dell’anno successivo si divide in due stazioni differenti; la prima, Red Network, si propone come tipologia commerciale di intrattenimento e programmi musicali, mentre la seconda, Blue Network, nel campo dell’informazione e della cultura. Solo nel 1941, precisamente dal primo luglio, diventerà una stazione televisiva. Già all’inizio, vengono realizzati prodotti di fiction, che nel tempo si dimostreranno sottilmente fedeli ai propri canoni estetici, politici e tematici. Gli argomenti socialmente scottanti non mancano, anche in questo caso, specie dagli anni ’70 il cui interesse per i cambiamenti sociali spinge anche la televisione, come aveva cominciato il cinema nella metà degli anni ’60, a occuparsi delle “scomode” differenze che, pian piano stanno venendo fuori, stabilendo stili di vita e scelte private totalmente differenti ai decenni precedenti. NBC infatti acquisisce già precedentemente ai canoni realistici e violenti di Hill Street Blues, seguiti poi dai medical drama come St. Elsewhere e ER, gia con il tv- movie, dalla metà degli anni ’70, il linguaggio violento e duro e le tematiche drammatiche di temi che fino a poco tempo prima anche solo nominarli era definito “antiamericano”.
Ne è testimonianza The Execution of Private Slovik di Lamont Johnson del 1974, scritto da William Link e Richard Levinson (già autori di Colombo e dieci anni prima di trasformare quest’ultimo al femminile, per CBS, in La signora in giallo con Angela Lansbury nelle vesti della leggendaria Jessica Fletcher) con Martin Sheen, storia di un soldato della seconda guerra mondiale, Eddie Slovik, che venne giustiziato per diserzione dall’esercito nel 1945 – caso che non accadeva negli Usa dalla guerra civile – per volere di Eisenhower che non volle commutare la pena. La storia di Slovik sarebbe dovuta essere realizzata per il cinema nel 1960 con protagonista Frank Sinatra, ma ciò non avvenne per non creare imbarazzo alla imminente elezione di Kennedy, di cui il cantante di origine italiana era uno dei sostenitori più importanti nel mondo dello spettacolo. I leoni della guerra del 1976, diretto da Irvin Kershner, con cast corale all star (tipico di quel periodo in particolare per i disaster movie) che comprendeva Martin Balsam, Charles Bronson e Peter Finch, instant movie discutibile sull’Operazione Entebbe, nome ripreso dalla città dell’Uganda dove nell’estate del 1976 un gruppo di palestinesi tenne in ostaggio i passeggeri ebrei e israeliani di un aereo dirottato, che furono poi liberati da una squadra speciale dell’esercito israeliano. Anche il fatto storico contemporaneo viene analizzato, come nella miglior tradizione televisiva, ma diviene duro, realista, scomodo e in questo caso dal messaggio ambiguo. Il caso volle che anche la ABC producesse nello stesso anno un altro film sull’argomento, La lunga notte di Entebbe di Marvin J. Chomsky e con un cast all-star che comprendeva Anthony Hopkins, Elizabeth Taylor, Helen Hayes, Kirk Douglas. Un altro evento di cronaca che ottenne molte buone recensioni ed è entrato nella storia della televisione come un classico è Il caso Lindbergh, un film fiume di tre ore trasmesso dal network nel 1976, diviso in due parti, sul famoso rapimento del figlio dell’aviatore Charles Lindbergh, evento che scosse gli Stati Uniti all’inizio degli anni ’30, il momento più duro della Grande Depressione. La pellicola vede protagonista un eccellente Anthony Hopkins nel ruolo del suo rapitore di origine tedesca, Bruno Hampton. L’elemento chiave messo in evidenza dalla produzione diretta da Buzz Kulik è l’intolleraza degli americani nei confronti di un immigrato tedesco (sono gli anni della salita al potere di Hitler) e sulla evidente mercificazione della tragedia da parte dei media . Il 1978 è l’anno della miniserie campione di ascolti Olocausto, diretta sempre dal veterano Marvin J. Chomsky con protagonisti Meryl Streep, James Woods, Fritz Weaver, Rosemary Harris, Tovah Feldshuh. L’opera fece nascere numerosi dibattiti di natura storico-filosofica sul valore in tal senso di immagini di fiction legate alla descrizione dei campi di concentramento. Fu questa miniserie a mostrare ai tedeschi in prima serata per la prima volta un tema fino ad allora sottaciuto. La pena di morte raccontata dalla penna non certo sbrigativa di Norman Mailer è uno dei successi di critica della NBC nel novembre del 1982. Tratto dall’omonimo e durissimo romanzo The Executioner’s Song, vincitore del Premio Pulitzer. Diretto da Lawrence Schiller e adattato dallo stesso Mailer, il film vede protagonista un uomo appena uscito di prigione dopo quindici anni. Il mondo non accoglie certo a braccia aperte il protagonista: non riesce a trovare nessun lavoro stabile e ha difficoltà in campo sessuale. Nemmeno una relazione con una ragazza madre adolescente gli dà quella stabilità ricercata. In brevissimo tempo, rapina alcune stazioni di servizio, uccidendo senza alcun motivo due commercianti che già gli avevano dato il denaro richiesto. L’uomo viene arrestato e condannato a morte. Drammatico atto d’accusa nei confronti del sistema penitenziario dove viene sottolineata la perdita della sua funzione riabilitativa e la sua ipocrisia di fondo. Oltre al tema trattato, allo stile indie del cinema di quegli anni, resta interessante la sua messa in scena, per l’epoca ancora inedita per un programma di prima serata di un canale generalista: esplicite scene di sesso fra i due protagonisti (un ottimo Tommy Lee Jones e un’allora giovanissima Rosanna Arquette), un linguaggio duro e per niente “ripulito”, come invece era ancora d’uso, inquadrature violente dei due omicidi, che non lasciano nulla all’immaginazione. Il risultato fu una pioggia di nomination agli Emmy, tra cui due vittorie (una per il sonoro e l’altra per il protagonista).
Se si escludono pochi e rilevanti prodotti, come la miniserie ambientata all’inizio del XX secolo, A Woman of Independent Means, dal romanzo omonimo di Elizabeth Forsythe-Hailey, con Sally Field, che ripercorre la vita della protagonista Bess Steed, lungo quasi l’intero asse del XX secolo, o il tema dell’omosessualità femminile nel mondo dell’esercito, Serving in Silence: The Margarethe Commermeyer Story di Jeff Bleckner, con Glenn Close e Judy Davis, fra la seconda metà degli anni ’90 e i 2000 la produzione è andata man mano scemando fino a realizzare solo poche miniserie di ambientazione fantastica come Merlino, nel 1998 di Steve Barron, con Miranda Richardson, Sam Neill, Martin Short e Helena Bonham Carter o la pessima biografia sugli anni giovanili di John Lennon, The John Lennon Story o la coproduzione tra Canada e Usa sull’omicidio di Matthew Shepard, un ragazzo gay dell’Iowa vittima di un crimine d’odio, nel film di Roger Spottiswoode The Matthew Shepard Story, con le splendide performance di Stockard Channing e Sam Waterston, nel ruolo dei genitori. Un altro canale che ha preferito concentrare negli ultimi 15 anni i suoi sforzi produttivi verso la serialità.