Dalla nostra inviata GIOVANNA BARRECA
Ascolta l’intervista di RADIOCINEMA al regista del film:
Torino 2011 apre le proiezioni dei film in concorso con 17 Gilrs di Delphine e Muriel Coulin, storia vera del 2008, quando un gruppo di liceali decidono di diventare madri nello stesso momento – che ha dato spunto ad un’ottima sceneggiatura che poi, in fase di rielaborazione filmica soffre di diverse cadute. A seguire Win Win di Thomas McCarthy, nelle sale italiane dal 9 dicembre col titolo Mosse vincenti (per la Fox), che lavora su una vicenda che spesso perde il filo narrativo, intrecciando in punti errati le diverse storie che la compongono ma che poi può godere di una regia rigorosa e soprattutto di ottime interpretazioni: come quella di Amy Ryan anche in una parte minore, Alex Shaffer (trovato dal regista-sceneggiatore in un liceo americano tra i giocatori di lotta libera) e, soprattutto, Paul Giamatti, eterno viso malinconico del cinema americano. Nella provincia americana per un avvocato di giorno – allenatore di lotta la sera – è difficile sbarcare il lunario (l’America decadente e depressa del 2011 è protagonista) e trovandosi a curare gli interessi di un anziano signore, abbandonato dall’unica parente – la figlia – ancora in vita, decide di diventarne il tutore per poter ricevere tutti i mesi l’assegno di mantenimento. Le cose, non del tutto legali nate dalla disperazione, vanno a gonfie e vele fino a quando non spunta il nipote dell’uomo (Alex Shaffer credibile e in parte), scappato dai maltrattamenti del compagno della madre tossicodipendente. Nella famiglia di Mike (Amy Ryan è la moglie con due figli piccoli di Giamatti) e nella vicinanza col nonno, il ragazzo trova la comprensione e l’amore che non hai conosciuto e una via di riscatto grazie alla lotta, disciplina nella quale da sempre primeggia senza aver mai capito il suo talento anche di leader e guida per i compagni. Fino all’arrivo di Kyle il film procede con la descrizione in campo medio della provincia americana, con la scelta di location tipiche di certo cinema indie, con l’introspezione nella psicologia di alcuni personaggi: Mike e il fratello Terry, quarantenne in cerca di una nuova vita, Jackie e l’allenatore Vigman, la squadra senza identità. Tutto giocato sul filo dell’ironia. Poi il film procede sempre sullo stesso binario del racconto classico ma delinea i volti di alcuni personaggi, in particolare Mike, Kyle e persino il nonno con una perizia rara riuscendo a far arrivare allo spettatore tutta la dimensione morale e umana, la lotta interna che si consuma nel loro animo.
In cosa non funziona il film? Uno: nei momenti, mal orchestrati all’interno della narrazione, che vedono i diversi arrivi e partenze della madre di Kyle, prima tossicodipendente da compatire, poi becera arrivista che vuole prendersi cura del padre solo per interesse, infine madre benevola che, sempre per interesse, ma anche per un ritrovato senso della misura e forse dell’amore, accetta la soluzione migliore per la vita del figlio. Due: nel non avere un vero e proprio pubblico di riferimento. Probabilmente disattende le aspettative dei teenager che facilmente potranno identificarsi con il ragazzo che vuol trovare finalmente una casa e amore, ma allo stesso tempo il ritmo lento, le altre storie parallele, li annoieranno. E per gli adulti non sarà null’altro che la solita storia di quarantenni in cerca di riscatto nell’America che ha perso la sua etica.
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