Monsters

25/05/11 - Il superindipendente britannico Gareth Edwards confeziona un inedito esperimento mescolando fantascienza e sentimenti intimistici.

In tempi di tensioni internazionali, di crisi economica, di bellicosità morale e materiale diffusa, la fantascienza torna di gran moda con invasioni, migrazioni interplanetarie, guerre stellari e terrore a profusione. Perciò quando si legge di un film che sembra l’ennesima storia di aggressioni aliene, seppure riformulate per l’esigente pubblico 2.0, si è tentati di passare oltre senza troppi indugi. Monsters però non è quello che ci si aspetta.

Lo sfondo è un presente alternativo a metà tra Cloverfield e >District 9, in cui alte pareti di cemento non separano le nazioni del pianeta (i blocchi di cemento israeliani non sono una citazione involontaria, anche se esplicitamente ci si limita al confronto con la muraglia cinese) ma tentano un cordone di sicurezza tra la zona infestata dalle creature aliene (piovute sulla terra dopo un’indagine della Nasa finita male) e la presunta società civile. Gli alieni – corpo di polpo su zampe di ragno, alti quanto un grattacielo – sono oggetto d’incessanti bombardamenti esplosivi e chimici sotto i quali muoiono a migliaia anche i civili, per lo più messicani, che vivono intorno alla “zona infetta”. Un reporter è costretto a scortare la figlia del suo editore attraverso la regione infestata per condurla in salvo nella sua sicura dimora oltreconfine. Ma tutta l’avventura è in realtà un ameno pretesto per l’incontro e l’avvicinamento dello scapestrato giornalista (senza una compagna ma con un figlio non voluto) alla delicata pulzella (senza un figlio ma con un fidanzato indesiderato). Frutto dell’immaginazione e dell’enorme lavoro del britannico Gareth Edwards, questo grande piccolo film – girato con una troupe di due persone e costato alla fine poco più di ottocentomila dollari – gioca con la genetica dei generi cinematografici fondendo il road movie con il dramma romantico, la fantascienza “ideologica” con il mockumentary e tenta di trasformare i propri punti deboli in tratti di originalità. Edwards è un filmmaker completo, in grado di scrivere dirigere e post-produrre praticamente da solo anche un lungometraggio come questo, pieno di effetti visivi, più e meno appariscenti.

Le apparizioni dei mostri – come pure ogni altra scena d’azione e combattimento di grandi dimensioni – sono gestite con intelligenza e furbizia, usando i visori notturni dell’esercito, la televisione e altri dispositivi, non solo tecnologici, come filtro d’offuscamento. I mostri si palesano compiutamente solo in un prefinale che spiazza e rivela il vero spirito del film. Una crisi interplanetaria si trasforma così in un viaggio crudo ma intimo durante il quale i due protagonisti hanno l’occasione di riflettere sulla propria esistenza specchiandosi l’uno nello sguardo dell’altro. Un esperimento interessante, un ottimo esempio delle vere possibilità del tanto sbandierato cinema digitale. Tuttavia il congegno visivo non basta a se stesso e in mancanza di una scrittura forte – che qui manca del tutto – non basta il semplicistico gioco di ribaltamento del punto di vista (chi sono i veri mostri?) a reggere da solo le sorti del film.

SILVIO GRASSELLI