Molto forte, incredibilmente vicino

11/02/12 - Alla Berlinale, Molto forte, incredibilmente vicino, elaborazione del trauma dell'11/09 attraverso lo sguardo di un bambino.

Dalla nostra inviata Daria Pomponio

Habitué degli adattamenti cinematografici da romanzi di successo (che poi puntualmente raggranellano premi prestigiosi) Stephen Daldry, dopo The Hours (da Michael Cunningham) e The Reader – A voce alta (da Bernhard Schlink) affronta il bestseller di uno degli autori più talentuosi del nostro tempo, quel Jonathan Safran Foer già trasposto al cinema con garbo (e anche con la giusta lucidità di sguardo) dall’attore e regista Liev Schreiber in Ogni cosa è illuminata. Presentato Fuori Concorso alla 62esima Berlinale, Molto forte, incredibilmente vicino racconta l’elaborazione del lutto collettivo dell’11/09 attraverso lo sguardo e la sensibilità di un bambino di nove anni, Oskar (Thomas Horn) che quel giorno perde tragicamente l’amato padre (Tom Hanks). Quando il piccolo rinviene una misteriosa chiave nell’armadio del genitore, parte alla ricerca della serratura corrispondente, per le strade di una città ancora sconvolta dall’accaduto.

Subito identificato come uno degli eventi catastrofici più intimamente cinematografici della Storia, l’attacco alle Torri Gemelle era già stato oggetto di un quasi instant movie a più mani nel 2002, 11 settembre 2001, dove tra episodi più o meno riusciti, spiccava quello di Alejandro González Iñárritu: undici, lancinanti minuti di corpi che cadono dai grattacieli. L’immagine la conosciamo già, l’abbiamo vista anche in diretta tv, ma il regista messicano, con il suo occhio attento era riuscito a cogliere la vera essenza dell’evento, cristallizzandola in una imperitura icona. Daldry in Molto forte, incredibilmente vicino, parte proprio da lì, lasciando volteggiare enormi dettagli del corpo di Tom Hanks nel vuoto, ma il taglio della sua immagine ha un tono epico che stona con la tragedia in corso e non può non rivelare un certo sensazionalismo. Troppo concentrato sulle dinamiche familiari del protagonista, il film dimentica poi di perseguire il suo obiettivo principale e, anziché immergerci nelle vite degli abitanti di New York, li lascia ai margini del racconto, tagliando corto con qualche sequenza di montaggio dove volti comuni accolgono il piccolo protagonista, oppure gli sbattono la porta in faccia o magari lo abbracciano ripetutamente. Il tutto condito da un’impennata di musica d’ordinanza. Se scende una lacrima, insomma, va tutto bene. Ma dal momento che il dramma raccontato dall’autore è soprattutto quello familiare e domestico, bisogna dire che si prova decisamente un po’ di difficoltà a identificarsi con il protagonista. Petulante, insolente e saccente il nostro Oskar è davvero un osso duro e non è nemmeno facile comprendere alcune sue scelte fondamentali, come quella di tenere nascosta alla madre la segreteria telefonica con gli ultimi messaggi paterni. Si salva però il rapporto tra il piccolo e l’anziano affittuario della nonna: un eccezionale Max von Sydow muto e incredibilmente divertente. Da sempre cedevole alle lusinghe della spettacolarizzazione di traumi e sentimenti, Daldry non si smentisce e con Molto forte, incredibilmente vicino sfodera i suoi violini ma sbaglia la sinfonia: non è la città a risuonare, ma l’ennesima ode alla famiglia americana, dove tutti si vogliono bene, anche se non sempre sanno dirselo. Ciò detto suona un po’ strana la candidatura all’Oscar del film, mentre se fosse prevista una speciale categoria, Tom Hanks (terribilmente sopra le righe) sarebbe senz’altro premiato come il papà più devoto dell’anno.

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