Ormai quasi cinquantenne, Tom Cruise è ben lontano dal pensare di farsi da parte quale action-hero di punta del cinema hollywoodiano e dunque torna a vestire per la quarta volta i panni dell’agente Ethan Hunt stavolta impegnato in Mission Impossible: Protocollo fantasma, in uscita in sala il 27 gennaio. Come dargli torto, del resto, vista l’ottima confezione del film e l’interpretazione vigorosa dell’attore che, forse ancor più che negli episodi precedenti, punta tutto sull’azione per una performance costantemente ai limiti – e oltre – le leggi della fisica. D’altronde, Cruise – che sin dal primo Mission Impossible è anche produttore della serie – stavolta si fa dirigere da Brad Bird, apprezzato regista di film di animazione (Gli incredibili, Ratatouille) che, per il suo esordio nel cinema live action, colleziona una serie incredibile di trovate visive mostrando una cura meticolosa per ogni dettaglio della messa in scena.
Ethan Hunt viene liberato da una prigione russa e, insieme a una nuova squadra di agenti della IMF (Impossible Mission Force), riceve l’incarico di mettersi sulle tracce di un pericoloso terrorista intenzionato a “pulire” il pianeta con un’esplosione nucleare. La caccia all’uomo porterà Hunt e la sua squadra a Mosca, poi a Dubai e infine a Mumbay. Con le location scelte tenendo d’occhio chiaramente i differenti e importanti bacini di spettatori (l’anteprima mondiale del film si è tenuta non a caso lo scorso 7 dicembre al Dubai International Film Festival), anche questo episodio della serie comunque non si distacca dall’impostazione originaria del concept televisivo degli anni Sessanta, figlio del clima della Guerra Fredda. Ovviamente con tutti i distinguo del caso: il pericoloso terrorista più che russo è pazzo, mentre un suo connazionale veste i panni di un poliziotto che riesce a seguire le tracce di Hunt per poi allearsi con lui. È evidente tuttavia che, se il retaggio di un certo periodo storico resta, è solo per via di un riferimento cinematografico, quello del modello classico dello spy-movie.
Mission Impossible: Protocollo fantasma non intende tentare aggiornamenti su nuovi presunti nemici dell’America e si propone piuttosto come puro prodotto di entertainment, in cui eccellono per l’appunto diverse trovate di regia, dalla stordente sequenza di Cruise/Hunt che scala il grattacielo più alto del mondo, all’inseguimento destabilizzante nel bel mezzo di una tempesta di sabbia. E se è vero che l’hi-tech riveste un ruolo di rilievo – in particolare con il personaggio dell’hacker interpretato da Simon Pegg – è pur vero che la forza bruta dell’uomo finisce sempre per prevalere, così come allo stesso modo la sequenza decisiva del film è giocata su un semplice scambio di persona senza bisogno di alcun mascheramento ipertecnologico (come accadeva per esempio nel secondo Mission Impossible, quello diretto da John Woo). Ed è proprio nel campo del tradizionale spy-movie che intende muoversi Mission Impossible: Protocollo fantasma, dove la stessa regia di Bird, coadiuvato dalla fotografia di Robert Elswit (collaboratore abituale di Paul Thomas Anderson nonché premio Oscar per Il petroliere), è tutt’altro che “cartoonistica”, come invece accade in Sherlock Holmes – Gioco di ombre, altro action in sala in questi giorni: Mission Impossible: Protocollo fantasma punta piuttosto alla verosimiglianza del pericolo, tenendo a freno – se non eliminando del tutto – la prepotenza visiva degli effetti speciali.
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