Dalla nostra inviata Giovanna Barreca
Ascolta la conferenza stampa al Festival di Cannes del film:
Ascoltando Woody Allen suonare pezzi di jazz, avete mai immaginato delle immagini o una città? Dopo aver visto il suo ultimo film, presentato Fuori concorso come evento d’apertura della 64/a edizione del Festival di Cannes, probabilmente anche a voi scorreranno sotto gli occhi i 3 minuti di una Parigi settembrina – accompagnata solo da una suite per clarinetto – quando ci si veste ancora in maniera estiva ma si porta un giacchetto e un ombrello perché un temporale è sempre in agguato. Una Parigi da cartolina verdeggiante con Montmartre, le Teatre dell’Opèra, il ciottolato di alcune vie, i cafè. Inizio che a prima vista può sembrare molto scontato e banale come nei più classici film didascalici dove si deve far comprendere pienamente allo spettatore dove verrà ambientata la storia.
Ma dopo i primi 10 minuti si comprende come Allen abbia giocato con la ‘banalità’ iniziale per metterla in contrasto con una Parigi non prevedibile immaginata come un luogo dove tutto è possibile, dove tutto può letteralmente accadere. Anche sedersi un po’ annoiati e delusi su un gradino e al tocco della campana della mezzanotte veder arrivare una macchina di cent’anni fa e salirci per poi essere catapultati in un viaggio nel tempo tra gli autori che Gil – scrittore momentaneamente a Parigi con fidanzata e futuri suoceri – considera suoi maestri: Scott Fitzgerald, Ernest Hemingway che a loro volta frequentano Pablo Picasso, Man Ray, Salvator Dalì, Luis Bunuel. Gertrude Stein leggerà la bozza del suo romanzo e solo dopo Hemingway lo prenderà in considerazione. Un racconto in soggettiva e non realista precisa anche Allen in conferenza stampa perché quella sullo schermo è la Parigi che il regista americano vuole raccontare in modo poetico e che nulla ha della città dell’epoca. Vuole essere l’interprete profondo del senso dell’epoca, descriverla come l’ha sempre immaginata creando un intreccio accurato tra epoche e personaggi tutti molto ben caratterizzati (compresi quelli minori come il futuro suocero sospettoso che ingaggia un investigatore che si perderà ‘nel tempo’ rincorso da guardie reali).
Interessante – perché riesce ad arricchire il discorso di fondo del film regalando un tocco malinconico senza cambiare il ritmo della narrazione generale – il dialogo tra Gil e Adriana (una bellissima e perfettamente in parte Marion Cotillard) sui diversi tempi e epoche della vita sempre considerati, da chi li vive in prima persona come mediocri e poco interessanti e poi rivalutati dal tempo e dagli uomini che li studieranno. Adriana vive negli anni ’20 e vede come ‘sua personale età dell’oro’ la belle époque parigina con i suoi interessanti e mitici personaggi. Due battute che riescono anche a stigmatizzare alcuni punti chiave della poetica di Allen e del suo modo di interpretare i tempi.
Tanta ironia, esilaranti le battute sul valium e quelle di Dalì con i suoi due ‘rinoceronti’ e i colori di questo film: marroni e rossi che esaltano il paesaggio e l’epoca che si vuole raccontare. Ogni incontro con un nuovo poeta, scrittore, regista viene mostrato allo spettatore con soggettive di Gil così che il suo stupore sia il nostro. Che la sua incredulità – che ha regalato tante risate in sala – sia la nostra.
Quindi giudizio positivo sulla totalità dell’opera anche se dobbiamo confessare, senza rivelarlo, che il finale è davvero deludente e scontato. Anche lo spettatore più ingenuo quando vedrà Gil camminare da solo su un ponte parigino, immaginerà chi gli andrà incontro e l’evento meteriologio, con tanto di battuta pronunciata, che seguirà.
Nota di cronaca: si è tanto letto e scritto della partecipazione alla pellicola di Carla Bruni. Allen in conferenza stampa esalta il suo essere una donna “très charmant”; nel film le ha regalato 3 pose – uno/due giorni di set – che non rimarranno sicuramente nella nostra memoria.
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