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Dopo la fortunata, ma non troppo felice, trasferta salentina di Mine vaganti, Ferzan Ozpetek torna nella sua amata Roma, per la precisione a Monteverde, con il nuovo film, Magnifica presenza, storia di fantasmi, attori e segreti in cui aumentano le ambizioni ma i risultati effettivi continuano a stentare. Il protagonista del film è Pietro, cornettaio appena trasferitosi dalla Sicilia col sogno di fare l’attore, o meglio protagonista è la nuova casa che questi compra con la cugina: raffinata, d’epoca, ma infestata da una compagnia teatrale misteriosamente scomparsa nel ’43. Cosa le è successo? E chi è la Livia Morosini che manca all’appello? Commedia e ghost story fuse insieme dalla sceneggiatura di Ozpetek e Federica Pontremoli per un’investigazione tra i fantasmi della storia – come nella Finestra di fronte – che però non ha la stessa intensità e soprattutto la stessa compattezza narrativa.
Il film infatti percorre diverse strade, narrative e tematiche, che partono da quella principale della riflessione sul limite tra finzione e realtà, sulla menzogna come chiave dell’esistente e arrivano fino alla fascinazione per il passato, avendo come tappe intermedie la solitudine e la difficoltà di comunicazione e tutto l’immaginario gay, ovviamente riletto a uso e consumo del benpensante pubblico etero (gustoso l’antro delle tessitrici trans, ma inaccettabile che l’omosessuale Pietro sia del tutto asessuato: “Non riesco a essere gay, figurati se riesco a essere etero”, dice alla cugina che chissà perché prova ad attrarlo sessualmente). Il limite principale è che Ozpetek farcisce questa storia, che avrebbe anche margini d’interesse abbastanza ampi, di troppi orpelli e ornamenti: a volte gustosi, come le scene col dottore, più spesso inutili, a tratti imbarazzanti, come nella canzone cantata ai provini. E così la depotenzia, la rende vacua e poco avvincente, peraltro fronteggiando qualche problema di scrittura, come dimostrano gli anacronismi fuori luogo o i deus ex-machina; e la regia – che azzecca una bella apertura e i titoli di coda – non ha finezza nel fingere profondità, sparsa tra dialoghi molto poco convincenti. E allora al cinema dell’italo-turco non restano che gli attori, sicuro appiglio del suo modo di fare film: ma anche qui nulla di memorabile. Elio Germano non funziona granché in un ruolo in cui appare spaesato; meglio il cast di presenze, capitanato da Margherita Buy. Ma forse, l’unica magnifica presenza di questo sbilanciato film, è Anna Proclemer, che appare in qualcosa di più di un cameo e fa vibrare l’ultima parte della pellicola. Quando si dice: l’arte di illuminare lo schermo con uno sguardo, ancorché anziano.
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