Italian Graffiti – Percorsi italiani nella (s)memoria cinematografica collettiva a cura di Massimiliano Schiavoni
Prima di Habemus Papam Michel Piccoli aveva già frequentato i corridoi vaticani. E’ una posizione angolare da cui è strano partire per parlare de L’udienza di Marco Ferreri, ma a una visione attuale del film salta subito agli occhi la figura secondaria di Piccoli, che per associazione immediata (e non troppo corretta) riporta alle tormentose riflessioni morettiane sulle responsabilità pontificie. Per CristaldiFilm, dal 4 dicembre scorso è arrivata finalmente la prima edizione italiana in dvd e blu-ray di un piccolo gioiello del nostro cinema, forse non del tutto innocentemente dimenticato fino a questo momento. Non perché L’udienza sia un’opera cattiva e scopertamente provocatoria, ché anzi è dominata da un distante ma coscienzioso rispetto del sacro, ma piuttosto perché costeggia temi e atmosfere vaticane che si prestano a una facile rimozione. Dieci anni prima dell’attentato a Papa Giovanni Paolo II Ferreri raccontava infatti un apparato lievemente grottesco di elefantiache burocrazie intorno al vescovo di Roma, che per primario scopo sembrano avere una sua difesa dalle minacce esterne, ma che rivelano poi soprattutto una strenua preservazione della sua lontananza dalla realtà contingente, fedeli compresi. Solo distante, lontano e ieratico, il Papa può disegnare quel cerchio invalicabile intorno a sé che ne giustifichi la sacralità.
L’Italia che, solo di striscio, Ferreri evoca intorno all’allucinato Enzo Jannacci, straordinario protagonista, è un paese dilaniato, in cui il fanatismo religioso convive con sussulti autoritaristici (l’aristocratico in odore di “golpe Borghese” impersonato da Vittorio Gassman), in cui il Potere e tutte le sue deviazioni dominano sovrani, frangendosi in infiniti rivoli. Diversamente dal suo solito, stavolta Ferreri non ricorre a gelide e furiose distorsioni del segno, bensì colloca personaggi e vicende in un’atmosfera quanto più reale e credibile. Certo, il grottesco è ancora la sua chiave espressiva privilegiata, ma esso emerge in modo sommesso da figure e situazioni, che non portano sui loro volti segni di conclamata mostruosità. L’autore affidò il film alle spalle di Enzo Jannacci, per l’unica volta assoluto protagonista al cinema. E tramite il suo volto al contempo anonimo e sofferto riverbera con disperata caparbietà quella richiesta di dialogo col sacro che resterà senza spiegazione e senza risposta. Con fin troppa consapevolezza Ferreri colloca il suo Amedeo protagonista in un labirinto kafkiano (Jannacci lo ripete più volte nel film), in cui il piccolo uomo insignificante si scontra con il Moloch del Potere e dei suoi perversi meccanismi. Tuttavia, a differenza di Kafka, qui la domanda di Amedeo è rivolta al sacro nella sua incarnazione umana. Ferreri non pare voler attaccare le istituzioni sacre, quanto piuttosto biforcare la sua riflessione su due piani diversi: da un lato evocare la ridicola distanza tra il sacro e le sue manifestazioni terrene (l’insistenza sui long playing che ridanno voce a papa Giovanni XXIII, i chioschetti dei souvenir, le folle oceaniche…), dall’altro costeggiare in senso ampio il rapporto tra individuo e Potere, che trova una delle sue immagini più spietate laddove ci aspetteremmo pietà e comprensione. Nel ricco cast c’è posto anche per Claudia Cardinale e soprattutto per un eccellente Ugo Tognazzi, volto bieco, sobrio e ghignante del potere costituito.