Dalla nostra inviata GIOVANNA BARRECA
L’origine delle catene montuose si definisce orogenesi. Montagne che nei secoli passati si credevano entità create per non trasformarsi mai, per svettare sul mondo grazie alla loro bellezza e immensità per sempre. L’italo-americano Caldwell Lever decide di intitolare Orogenesi il suo viaggio che usa come pretesto le Alpi e gli Appennini, per strutturare il racconto della storia del paese Italia: dalla creazione per mano divisa fino al Medioevo, a San Francesco d’Assisi. Una realtà in continua mutazione come le montagne “nate dall’acqua – rocce sedimentarie di origine marina – e ora vicine al cielo”. In Italiana.doc al Torino Film Festival, il film è sicuramente ostico per il linguaggio usato (molte parti in latino), per la successione dei racconti (non certo presenti nei programmi scolastici nostrani) affidati anche all’opera, alla musica di Claudio Monteverdi che accompagna panoramiche ipnotiche dell’Italia. Ci si rapporta con simmetrie interessanti, ricerche accurate tutte finalizzare alla scoperta dell’identità di un nazione nata da profonde divisioni (Mario Martone in Noi credevamo lascia alla voce di Cristina di Belgioioso un monito: “l’Italia è nata da un albero con le radici malate. Da lì bisogna ricominciare”. Lever ricerca tale identità anche nei volti, da quelli dei cavalieri medievali, ai boscaioli-cacciatori, al volto arso dal sole di un vecchio zio, immortalato per circa un minuto a telecamera fissa mentre fuma una sigaretta e sorride. Quest’ultimo è esempio dei diversi tableau vivant presenti nel documentario perché, come spiega il regista: “Il film è stato ispirato dai quadri antichi visti nella vecchia casa paterna che volevo animare”.
Se il processo orogenetico delle montagne può essere diviso in due fasi: la sedimentazione e la compressione dei sedimenti con la successiva spinta verso l’altro, Lever struttura per l’Italia una storia scandita in 10 atti. Capitoli che la voce di Giorgio Albertazzi – scoperto su YouTube grazie alla nonna italiana – cerca di rendere epici in un viaggio fuori e dentro la memoria, “seguendo il canto delle muse” spiega il regista che, prima di iniziare a girare in 16mm, ha percorso in lungo e in largo tutta l’Italia che non conosceva.