Le gondole o il Canal Grande? Piazza San Marco o la splendida laguna?
Quale singola immagine vi racconta Venezia? Perché la città veneta, più di tutte le altre nel mondo, è da sempre raffigurata attraverso delle immagini che si ripetono uguali a se stesse ormai nei secoli e che attraggono, per la forza della loro bellezza, i turisti di ieri e di oggi? La bellezza è l’elemento mai mutato di una città che si è evoluta nel tempo, che ha vissuto momenti di altissimo splendore quando era Repubblica marinara e che già nel Settecento iniziava la sua decadenza diventando sogno aristocratico di una piccola élite e che per Wagner nell’Ottocento era già città malinconica. La sua bellezza ostinata l’ha fatta arrivare ai giorni d’oggi ma come?
Simone Marcelli, in Lo sguardo su Venezia, si interroga sulla visione e rappresentazione della città con un progetto iniziato prima della pandemia e che, sorprendentemente – durante il periodo della nuova peste che ha visto la città svuotarsi completamente -, è mutato, portando l’autore e così lo spettatore a porsi nuove domande sullo sguardo con il quale vediamo la città.
Per tale indagine Marcelli entra nella Fabbrica del Vedere del docente e studioso Carlo Montanaro che, anno dopo anno, ha raccolto e iniziato a collezionare decine di macchine del precinema. Con esse e attraverso di esse è possibile indagare anche come i pittori prima e i cineasti poi siano stati capaci di raccontare per immagini la città. Dal Canaletto e la tecnica della camera oscura, alle acqueforti, alle meraviglie, alla fotografia, nell’archivio sito nel cuore della città, si può compiere un viaggio alla scoperta dell’identità di una Venezia che i fratelli Lumière filmarono nel loro tour nel 1896 realizzando, inconsapevolmente, le prime immagini in movimento su camera mobile della storia del cinema perché posizionarono il cavalletto del loro cinematografo su una gondola. Nel Museo è anche conservata una fotografia di Piazza San Marco scattata dall’équipe dei Lumière.
“Un filo conduttore per raccontare questa città un po’ diverso” ribadisce il regista ai nostri microfoni, precisando che ha tenuto molto a dar voce a tante personalità e realtà veneziane, a coloro che continuano a vivere in Laguna e provano, giorno dopo giorno a mantenerla vita perché “senza i vivi, la Venezia delle pietre muore”. Splendido anche il viaggio visivo tra il Florian, la Riva degli Schiavoni, l’Arsenale, il Lido, il Gritti e le statue nella Basilica della Salute.
Un film ricco della bella energia di chi crede e coltiva bellezza, nonostante le difficoltà e un’economia che vede possibilità di profitto solo nel continuare a sfruttare e commercializzare la stessa idea di città, la stessa ripetuta immagine. Un turismo che, durante la fase pi acuta della pandemia, ha messo in luce tutta la fragilità della città, dando l’immagine lampante di una città che, spopolata dei suoi cittadini e abitata solo da turisti, è destinata a diventare solo un grande museo a cielo aperto.
Nel film a guidare il racconto c’è l’attrice Ottavia Piccolo, affiancata – per gli aspetti che riguardano le macchine del pre-cinema da Carlo Montanaro. Con loro anche Cesare De Seta, Silvia Penati, Tomaso Montanari, Pierre Rosemberg, Donatella Calabi, Paolo Sorcinelli. Musiche di Pino Donaggio.
La prima mondiale è prevista per martedì 18 gennaio alle 19 al Teatro La fenice di Venezia e poi il documentario concorrerà a diversi festival italiane ed europei.
giovanna barreca