Dal nostro inviato SILVIO GRASSELLI
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Ritrovato, restaurato e messo a disposizione del pubblico, viene presentato al Festival del Film di Roma tra gli Eventi Speciali L’illazione, primo e unico film da regista del compositore e musicista Lelio Luttazzi. Prodotto a basso costo nel 1972, il lungometraggio era poi rimasto nascosto e sconosciuto ai più. Dopo un restauro della colonna visiva e di quella sonora, il film torna ora accessibile non solo alla platea degli storici e degli studiosi, ma anche a quella di tutti gli appassionati e dei semplici curiosi. In una villa in campagna si ritrovano tre coppie: i padroni di casa, uno scrittore e la sua compagna, un magistrato e sua moglie, interessati all’acquisto della casa e del terreno, un amico del proprietario insieme alla giovane e avvenente consorte, entrambi abbattuti per la recente perdita di un figlio in circostanze sospette e per questo in cerca di consigli dal magistrato. Impossibile non pensare a La panne, romanzo di F. Dürrenmatt – in origine un radiodramma – centrato su temi e vicende molto simili a quelle del film di Luttazzi, e ancor di più a La più bella serata della mia vita, piccolo capolavoro misconosciuto diretto da Ettore Scola proprio nel 1972 e ispirato a sua volta al romanzo dell’autore svizzero.
Se Luttazzi dimostra di avere un’immaginazione perfettamente cinematografica e una certa consapevolezza del linguaggio del cinema (si guardi per esempio ad alcuni accenni ironici nella gestione della musica che passa spesso e impercettibilmente da dentro a fuori il racconto), la sua inesperienza di narratore per immagini si ritrova nell’andamento incerto del racconto, nella gestione non sempre felice dei toni e dei registri, nella giustapposizione, talvolta fin troppo ardita, di sogno e realtà. Il musicista però compare come protagonista credibile di un film ambizioso, pur nell’intimità e nella ristrettezza spaziale e temporale della vicenda. Da un pomeriggio al mattino successivo sei persone incrociano, ben oltre le consuetudini sociali, il filo dei propri pensieri, dei sogni e delle allucinazioni, delle ossessioni proibite e degli incubi più tremendi in una vertigine che mescola la colpa e il desiderio, l’odio e l’amore, l’anelito vitalistico e l’impeto distruttivo più cupo. Alla satira di costume segue rapido il dramma, per arrivare poi quasi ai colori del thriller e a quelli dell’horror. Non un capolavoro da annoverare nelle storie del cinema, ma l’esperimento di un artista poliedrico ricordato poco e male quasi solo per la sua carriera in televisione.