Per l’ultima rubrica musicale prima di una sospensione di Sguardi sonori, non si poteva non parlare del film del momento, Django Unchained, versione firmata Tarantino – ossia molto sui generis – dello spaghetti western. Come al solito, QT si occupa anche della colonna sonora, rigorosamente non originale, aiutato dalla supervisione musicale di Mary Ramos (con Tarantino dai tempi di Kill Bill) per stravolgere i canoni del genere alla luce della blaxploitation.
Quindi, oltre alla schiavitù e al razzismo, la rilettura afro del genere più bianco di tutti passa per la musica che mescola con la consueta spregiudicatezza i classici autori del genere, i brani dei compositori che hanno fatto la fortuna del western all’italiana con brani soul e hip-hop che farebbero drizzare i capelli a qualunque purista.
E già l’apertura è all’insegna dell’ibridazione: il Django di Luis Bacalov sui titoli di testa è il tema del film di Corbucci cantato dal nero Rocky Roberts. Si continua attraverso una compilation che come al solito “post-modernizza” l’argomento e mescola impunemente stili, suggestioni, generi e toni: il Morricone de Gli avvoltoi hanno fame si abbraccia con l’Anthony Hamilton di Freedom, i Giorni dell’ira di Riz Ortolani si accompagnano al Jim Croce di I Got a Name (splendida), il celeberrimo tema di Trinità di Annibale e i cantori moderni divide lo spazio con il John Legend di Who Did that to You?
La soundtrack spicca per essere la prima in cui Tarantino ha commissionato brani originali: così, oltre a 100 Black Coffins prodotta da Jamie Foxx, c’è Ancora qui, scritta da Morricone e cantata da Elisa, perfettamente in linea con la produzione canora del genere, anche se la voce della cantante può stonare, soprattutto a orecchie italiane.
Lo score di Django Unchained gioca con lo spettatore e le sue aspettative allo stesso modo di Tarantino con le immagini e il racconto, perfettamente in linea con lo spirito tarantiniano. La musica black, dall’hip hop al nuovo r’n’b può far storcere il naso (specie nello showdown finale), ma è perfettamente coerente con le idee del regista e con il sottotesto del suo film. Oltre a far ricordare, e forse rimpiangere, la grandezza anche musicale di un’epoca definitivamente perduta.