Dal nostro inviato ALESSANDRO ANIBALLI
Film di chiusura all’ultimo Festival di Cannes, Les bien-aimés di Christophe Honoré viene felicemente riproposto a Torino 29 nella sezione Festa mobile. Narrativamente complesso, articolato, e costruito come un musical dai toni minimalisti (i protagonisti cantano sottovoce senza l’ausilio di particolari scenografie), il film del regista francese racconta storie di amori e tradimenti lunghe 50 anni, passando dalla Parigi degli anni Sessanta dall’iconografia tipicamente Nouvelle Vague (Jacques Demy, ma anche un po’ Truffaut e un po’ il primo Godard a colori) alla Praga occupata dai carrarmati russi nel ’68, fino ai giorni nostri. Ma a Honoré non interessa il quadro storico quanto quello sentimentale dei suoi personaggi, che appaiono infastiditi o indifferenti al cospetto di quel che accade nel mondo. Les bien-aimés è la proposta di una rivincita del cinema sulla Storia, di un gioco sentimentale che scorre perpetuamente fino alla vecchiaia dei protagonisti, interpretati nientemeno che da Catherine Deneuve, Chiara Mastroianni, Ludivine Sagnier, Louis Garrel e persino Milos Forman. L’eternità dell’amore e del cinema viene raccontata attraverso la vicenda di Madeleine innamorata del praghese Jaromil e quella di sua figlia Véra e del suo innamorato, un musicista americano. Entrambe le donne rimarranno deluse, anche se la madre vivrà l’infelicità con noncuranza, mentre la figlia ne soffrirà.
Film sulla filiazione, Les bien-aimés mette in scena un passaggio di consegne sentimentale e amoroso per alludere al passaggio di testimone cinematografico. Si parte naturalmente da Catherine Deneuve e Chiara Mastroianni, madre e figlia nella vita reale così come nel film, per passare a Louis Garrel, figlio di un maestro della Nouvelle Vague quale Philippe Garrel, usato qui come un novello Jean-Pierre Léaud, fino ad arrivare alla presenza in scena di Milos Forman, grande autore del cinema cecoslovacco a partire dagli anni ’60. Honoré si appropria perciò di un immaginario cinematografico e lo riversa in un’opera garbatamente nostalgica, malinconica e anche mortifera perché in fin dei conti qualcosa alla fine si spezza sia nel cinema che nella vita. Resta però la perfetta architettura di un film piacevole e teorico insieme, comico e drammatico, frivolo e pensoso.