Dalla nostra inviata LIA COLUCCI
Ancora Giulio Cesare torna a sfiorare le sorti del regista e attore George Clooney che con il suo film Le Idi di marzo inaugura la 68/a edizione del Festival di Venezia. Anche nel 2005 Clooney aveva acceso la platea della laguna con Good Night and Good Luck, anche se in quel caso la citazione al Giulio Cesare di Shakespeare era più esplicita (“La colpa, caro Bruto, non è nelle nostre stelle, ma in noi stessi. Buonanotte, e buona fortuna”.) e probabilmente la vicenda che ruotava intorno al maccartismo era più avvincente e la regia decisamente meno convenzionale. Nel caso de Le Idi di marzo il massimo pregio di Clooney è di essersi occupato, forse tra i primi, di spin doctor delle campagne elettorali, di aver saputo trattare il tema di politica e morale senza scadere nel banale e di essere entrato nell’arte del compromesso senza moralismi, ma solo con una buona dose di fatalità.
Certo il cast di incredibile qualità, dove spiccano nel ruoli degli addetti alla campagna elettorale del deputato Morris (Clooney) Philip Seymour Hoffman e lo straordinario Ryan Gosling a Paul Giamatti che concorre per il candidato avverso, hanno sicuramente aiutato la vicenda. La pellicola molto giocata sui dialoghi e sui primi piani è tratta dal testo teatrale di Beau Willimon Farragut North adattato, però, con un cast da sogno. In sostanza il regista dà il meglio quando il suo cinema si fa impegnato e di denuncia, dove tira fuori il suo lato cinico e disincantato. Impossibile restare puri e ingenui in una società così strutturata, anche chi è animato dalle migliori intenzioni finirà con il capitolare e i più deboli, i più sensibili moriranno. In un gioco al massacro di ricatti e intrighi dove è sempre l’astuzia a fare la parte del leone. Finale a tinte forti dove sia i caratteri che le sorti dei protagonisti appaiono forse eccessive, ma Clooney decide di andare fino in fondo e certo non si accontenta di una metafora e insiste nell’iperbole. In conferenza stampa clooney non si è soffermato troppo sulla figura di Giulio Cesare e anzi è stato evasivo sul titolo del film, affermando che all’inizio dell’era Obama non si sentiva di fare una pellicola come questa perché convinto che ci sarebbe stato un vero cambiamento, ma quando questa speranza è sfumata il regista è tornato alla sua vecchia e cinica visione della politica, forse perché nulla di significativo è veramente successo. Forse Clooney non si è ancora reso conto, che morale a parte, è la Borsa con la sua logica ancora più spietata a tenere ormai in ostaggio la politica. E Wall Street è già stato fatto, ben due volte.
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