Italian Graffiti – Percorsi italiani nella (s)memoria cinematografica collettiva a cura di Massimiliano Schiavoni
Molto francamente, di certo cinema italiano anni Settanta, che non ha lasciato praticamente alcuna eredità negli anni a venire, non sentiamo molto la mancanza. A casa nostra i Settanta sono stati anche anni di follia, sociale e creativa. Talvolta follia fertile, spesso follia inerte. A fronte di un contesto civile esploso e violento, troviamo una parte del nostro cinema al contempo sperimentale e fallimentare. E, soprattutto, gli strusci tra alto e basso, tra ricerca d’autore e giustificazioni commerciali, mostrano un ambiguo margine di compromissione. Appartiene a questa deriva tutto il filone del cinema intellettual-erotico, forse diretto discendente di Ultimo tango a Parigi (1972) di Bernardo Bertolucci ma che trova la sua espressione più compiuta in Il portiere di notte (1974) di Liliana Cavani, laddove l’Eros è seriosamente scandagliato in relazione al Thanatos, in tutte le possibili declinazioni, seguendo un percorso di compiaciuto psicologismo, riletto su una scala che va dalla reale pregnanza alla rozza faciloneria. Del cinema di Eriprando Visconti, nipote di Luchino, pochi oggi si ricordano. Benché Eriprando abbia compiuto un percorso artistico molto diverso, in fondo certi compiacimenti decadenti si possono far risalire anche a La caduta degli dei (1969) dell’illustre zio. Ma il suo è soprattutto un impasto di suggestioni che sgorga negli anni Settanta in una folta produzione di fumettoni, seriosi e compresi di sé, alle prese con simbolismi di invadente evidenza.
Il dittico La Orca / Oedipus Orca (1976) di Eriprando Visconti, riproposto in cofanetto dvd per Cinekult dal 23 ottobre, si compone di due film girati nell’arco di pochissimi mesi. Il secondo fu frettolosamente progettato e realizzato per sfruttare l’onda del successo di scandalo del primo film (puntuale il sequestro della pellicola, come spesso accadeva in quegli anni), e se ne avverte in effetti tutta la forzosa occasionalità. Seppur narrativamente dipendenti una dall’altra, si tratta anche di due opere molto diverse. La Orca racconta un caso da manuale di sindrome di Stoccolma, dove una ragazza benestante, sequestrata da una banda di malviventi sottoproletari, finisce preda dei desideri del suo carceriere. Oedipus Orca, invece, è un’artificiosa elucubrazione sul mito edipico con tanto di ambizioso finale da tragedia greca. Tra i due, è senz’altro preferibile il primo. A suo modo, La Orca mantiene una sua credibilità sociale, una sua onesta crudezza che argina il sospetto dell’operazione commerciale. Certo, alla base risuona una riflessione social-archetipica rozza e didascalica. Il sequestratore Michele Placido, sottoproletario meridionale e “primitivo”, fagocitato dalla subdola ragazza borghese, fino a esserne inghiottito: facili argomenti di un apologo che, a suo modo, riverbera di teorie marxiste e dell’hegeliano servo-padrone. L’eterea Rena Niehaus, divetta di quegli anni rapidamente scomparsa dalle scene, si trasforma a poco a poco da vittima a carnefice, in un contesto claustrofobico benissimo evocato dalla squallida ambientazione e da una bella fotografia. Tuttavia, di quel cinema ci troviamo a rimpiangere poco o niente. L’eccesso di compiacimento, il rozzo rimestare in teorie psicanalitiche da rotocalco, la seriosità a rischio di ridicolo involontario, specie in alcuni passaggi di dialogo, certe follie intellettualistiche nelle sequenze oniriche (da annali del kitsch il sogno del sequestratore), ci consegnano l’immagine di un cinema rapidamente invecchiato, e in questo caso ben compromesso da ragioni commerciali. Ne è riprova il secondo film, che a posteriori si rimangia anche l’onestà del primo.